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L'intervista. «La violenza non basterà a cancellare il processo di pace in Colombia»

Lucia Capuzzi giovedì 10 settembre 2020

Il senatore Iván Cepeda

La morte di Javier Ordoñez, dopo il fermo della polizia che l’ha ripetutamente colpito col Taser, e le proteste contro la brutalità degli agenti, in cui sono state uccise altre sette persone, sono solo gli ultimi segni del profondo malessere colombiano. Il nodo di fondo è l’empasse del processo di pace, a quasi quattro anni dalla firma dell’accordo tra il governo e le Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia (Farc). «Non mi sorprende, per la natura stessa del patto siglato dalle parti. Questo implica un autentico processo di riforma che lede gli interessi economici e politici di un settore potente e composito, di cui fanno parte dai grandi latifondisti a porzioni delle forze dell’ordine. L’incremento della violenza nei confronti degli attivisti ¬– 166 sono stati assassinati da gennaio ¬- è l’arma con cui cercano di fermare il processo. Ora il Covid sta ulteriormente acuendo le tensioni». Ne è convinto Iván Cepeda, senatore della forza di opposizione Polo democrático e portavoce del Movimento de víctimas de crimenes de estado (Movice), egli stesso vittima di una raffica di minacce di morte nelle ultime settimane. Vicenda quest'ultima che ha suscitato forte preoccupazione in Colombia e all'estero. In Italia, Libera - con cui Cepeda ha un legame da oltre dieci anni - si è unita all'allarme. «Le minacce e i pedinamenti stanno mettendo a serio rischio la vita del Senatore Ivan Cepeda, della sua famiglia, del suo avvocato Reynaldo Villalba (membro del Colectivo José Alvear Restrepo) e dei suoi collaboratori, estendendosi anche contro i magistrati della Corte Suprema di Giustizia, che lo scorso 3 agosto hanno ordinato la detenzione ai domiciliari dell’ex presidente Álvaro Uribe in un processo penale in cui Cepeda si è presentato come parte offesa. Fa riflettere che tali pressioni si siano fatte più frequenti e violente proprio a seguito della suddetta sentenza. Siamo convinti che siano azioni tipiche dell'agire mafioso contro il quale da anni ci battiamo come società civile in Italia ed all'estero», si legge nel comunicato di Libera.

Senatore Cepeda, che cosa c’entra la pandemia con la resistenza violenta al processo di pace?

Il Covid sta deteriorando la situazione economica e, dunque, i problemi sociali preesistenti risultano aggravati. A sopportare il peso maggiore sono i gruppi sociali più fragili. La diseguaglianza, già feroce, sta crescendo ancora.

In questo contesto, qualcuno parla di fallimento del processo di pace e di ritorno al passato. E’ d’accordo?

No. Il passato non si ripete mai tale e quale. Il processo di pace ha segnato un prima e un dopo. Non può essere cancellato con un colpo di spugna anche se qualcuno vorrebbe. Ai tempi del negoziato per l’accordo, spesso mi chiedevano che cosa si sarebbe dovuto fare in caso di fallimento dei colloqui. Ripetevo sempre: un’altra trattativa. Il fatto è che non esiste un’alternativa a una pace negoziata. E una parte consistente della società civile colombiana l’ha compreso. Esiste una forte mobilitazione per la pace dei giovani, delle classe medie, dei difensori dei diritti umani, di un settore delle stesse forze armate.

Ad agitare ancor più la situazione, il recente fermo dell’ex presidente ed ex senatore Álvaro Uribe, principale voce dell’opposizione al processo di pace, per legami con gruppi paramilitari illegali anti-guerriglia. Un caso in cui lei si è costituito parte civile.

La detenzione ai domiciliari di Uribe è un fatto inedito per la Colombia. E’ presto per dire che cosa potrà accadere. In ogni caso è un segno del cambiamento in atto.