Mondo

Medio Oriente. Il vicepremier palestinese: la svolta nella guerra nelle mani degli Usa

Nello Scavo, inviato a Ramallah venerdì 2 febbraio 2024

Nabil Abu Rudeineh

Rimprovera gli americani, ma lascia la porta aperta perché da loro può arrivare la svolta. Attacca Netanyahu, sapendo che politicamente ha i giorni contati. Avrebbe preferito non dover mai parlare di Hamas, ma sa che non sarà la guerra a cancellarne il consenso. E ringrazia il Papa, “che non smette concretamente di agire per la pace”.

Nabil Abu Rudeineh è l’osso duro della politica palestinese. Gli piace parlare, come dicono i suoi collaboratori, “friendly and frankly”. Franchezza nei toni, amichevole nei modi. Ferreo nelle convinzioni. Vicepremier, portavoce del presidente Abu Mazen, lo era stato anche di Yasser Arafat. Ufficialmente è anche Ministro dell’Informazione, in realtà si muove da diplomatico, aprendo canali e viaggiando tra le capitali. Il 28 dicembre era in Vaticano per colloqui. Protagonista da oltre mezzo secolo, conosce i rivoli, le frammentazioni, le speranze e i tradimenti nella vita politica palestinese.

Ci riceve nella Muqata, il quartier generale dell’Autorità nazionale. Una piccola città-fortezza su una delle alture di Ramallah. I militari della Guardia presidenziale, armati come per entrare in battaglia, ci scortano all’appuntamento. Prima, dobbiamo superare il covid-test. “Da dove cominciamo?”, domanda lui per primo.

Da Gaza. Come procede il negoziato ?

“Non ci può essere negoziato se non c’è un cessate il fuoco. Speriamo che gli americani forzino Israele e li convincano: bisogna fermare la guerra. Ma finora gli americani non stanno facendo il loro lavoro. Se volessero la guerra si fermerebbe in una notte”.

Avete ricevuto più volte le visite del segretario di Stato Blinken. Che cosa gli avete chiesto?

“Per cominciare: fermare la guerra, bloccare l’attacco di Israele. Noi non consideriamo questa come una guerra, ma come un genocidio. Secondo: fare arrivare rapidamente medicine, cibo e aiuti umanitari a tutta la popolazione di Gaza. Senza questi due passi urgenti, nessun negoziato può funzionare”.

Perché non vi fidate degli Stati Uniti?

“Quello che sta accadendo avviene con l’appoggio e il sostegno degli americani. È una scelta molto pericolosa che si rifletterà negativamente su tutto il Medio Oriente. Gli Usa continuano a sostenere Israele, con armi e fondi, ed è evidente che gli Stati Uniti non ascoltano le richieste da tutto il mondo. Nel Consiglio di sicurezza continuano a opporre il veto. Ma nonostante questo i nostri contatti con gli americani sono continui. Abbiamo ricevuto il segretario di Stato Blinken per cinque volte proprio qui, ma nonostante le promesse non è ancora successo nulla”.

Il capo della diplomazia di Whashington negli ultimi giorni ha però parlato in modo esplicito della possibilità che gli Usa riconoscano lo Stato di Palestina, anche a costo di irritare il governo Netanyahu. non le pare una presa di posizione chiara?

”Gli Usa dicono di essere favorevoli alla soluzione dei due Stati. Affermano di essere contrari alla violenza dei coloni israeliani. Ci ripetono di essere interessati alla pace. Ma osserviamo i risultati: cosa aspettano a riconoscere lo Stato Palestinese? Quello che gli chiediamo è di essere più seri, perché ci possono essere buone idee, ma in concreto non abbiamo visto ancora nulla. Al contrario, con il sostegno americano migliaia di persone vengono uccise e migliaia di bambini rimangono orfani. A questo proposito vorrei aggiungere una informazione”.

Quale?

“Alcune settimane fa ho incontrato a Roma il ministro degli Esteri della Santa Sede, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, che si è mostrato molto attento a quello che sta accadendo e in particolare si è interessato proprio alla situazione degli orfani, che hanno bisogno di assistenza e aiuto e per i quali la Santa Sede si sta impegnando”

Come osservate il lavoro diplomatico del Vaticano in questa crisi?

“Con gratitudine, per tutto quello che la Chiesa Cattolica sta facendo sia a livello diplomatico che nelle azioni concrete. Sentiamo molto vicina la voce di Papa Francesco e il suo sostegno è molto importante. Ora più che mai abbiamo bisogno dell’aiuto del Papa e delle sue parole per la pace. Consideriamo il suo intervento come una voce necessaria per fermare la guerra e attuare un percorso di pace”.

Il presidente turco Erdogan dice non considerare Hamas un gruppo terroristico. Lei ha risposto con queste parole: “La nostra politica è che l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) è l'unico rappresentante del popolo palestinese”. Ma in Cisgiordania non si vota dal 2006. Avete paura di una vittoria di Hamas?

“Noi pensiamo che se Hamas accetta le regole che sono alla base delle istituzioni palestinesi, può partecipare alla vita politica pubblica”.

Anche se Hamas nonostante il crimine del 7 ottobre continua ad avere tra i suoi scopi fondativi la distruzione dello Stato di Israele?

“Prima di tutto dobbiamo dire che si sono molte Hamas. C’è Hamas in Qatar, c’è in Iran, c’è in Libano. Ripeto: se Hamas accetta le regole che abbiamo, può fare politica come tutti. Ci sono molte cose da discutere, ma questo non è il momento. Adesso la priorità è fermare la guerra. Quando accadrà, affronteremo tutte le altre questioni”.

Torniamo al negoziato. In queste ore si parla di una possibile svolta. In che misura siete coinvolti? Cosa vi aspettate?

“La verità? Mentre le sto parlando non c’è nessun vero negoziato per un cessate il fuoco stabile e duraturo. Gli israeliani hanno detto pubblicamente che non hanno nessuna intenzione di fermarsi e interrompere gli attacchi su Gaza. Israele dovrebbe invece fermare la guerra e sedersi al tavolo con noi, per discutere ogni singola questione secondo il diritto internazionale”.

Avete presentato la nuova lista di detenuti palestinesi per cui chiedete il rilascio? C’è anche il nome di Marwan Barghuti, che riscuote molto consenso nella popolazione palestinese?

”Nelle carceri israeliane ci sono migliaia di palestinesi (circa 5mila secondo dati non ufficiali, ndr) e di questi migliaia sono membri di Fatah, il nostro partito. Centinaia e centinaia di palestinesi sono sottoposti a “detenzione amministrativa”, dunque senza un processo. Noi chiediamo la liberazione di tutti i detenuti e di tutti i membri di Fatah, senza eccezione”.

L’autorità nazionale palestinese riceve molte critiche anche dall’interno. Tanti lamentano una scarsa capacità di governo in Cisgiordania. Come risponde?

”La colpa principale è dell’occupazione israeliana. La gente vede gli insediamenti illegali che si moltiplicano, vedono le retate, vedono le loro continue e crescenti limitazioni alla vita quotidiana, alla libertà di spostarsi nelle proprie città e villaggi e questo contribuisce a creare un clima di sfiducia”.