«Salvateci. Non lasciateci morire». Appena tornato a Roma dall’Iraq, il cardinale Fernando Filoni, prefetto di Propaganda Fide, fa suo e ripete al mondo l’accorato appello dei cristiani e delle altre minoranze che hanno subito l’aggressione dell’Isis. Ieri mattina ha riferito al Papa il suo rapporto. E più tardi, in questa intervista ad
Avvenire, l’inviato speciale di Francesco aggiunge la richiesta di «dare al più presto a tutti i rifugiati una protezione internazionale, affinché possano tornare alle loro case». E a tal proposito giudica «molto interessante» l’ipotesi di invio nella regione dei caschi blu dell’Onu.
Eminenza, che situazione ha trovato in Iraq?La situazione in cui decine di migliaia di persone hanno praticamente bisogno di tutto. Servono beni di prima necessità, vestiario e viveri, e strutture igieniche e sanitarie. Per quelli che sono ad Ankawa, un sobborgo di Erbil, nei campi attorno alle chiese o nelle chiese stesse, stiamo organizzando l’assistenza e fornendo loro il necessario attraverso il comitato costituito dai vescovi locali. Una delle cose più necessarie sono i bagni e le docce. Alcune strutture sono sorte letteralmente dal nulla, ma è urgente per esempio l’invio di bagni chimici che sarebbero di grande giovamento. Consiglio di mettersi in contatto con l’arcivescovo Bashar che è a capo dell’organizzazione di Ankawa, per capire con precisione ciò di cui c’è bisogno.
Qualcuno nei giorni scorsi ha parlato di genocidio. Lei che ha visto la situazione con i suoi occhi ritiene che questa parola si possa usare?Per i cristiani l’espressione è abbastanza forte, anche se il patriarca caldeo Sako l’ha usata. Nei confronti dei cristiani, infatti, è stata messa in atto più che altro un’azione di "pulizia religiosa", anche se in effetti quando si cacciano via le persone dalle proprie case senza nulla, le si espone a rischio di morte. Invece per gli yazidi il termine è esatto, perché gli appartenenti a questa minoranza o rinnegano la propria fede e si convertono all’islam, o vengono eliminati. Gli uomini li uccidono direttamente, come è successo proprio mentre ero lì con un gruppo di oltre 70 persone, mentre le donne vengono vendute come schiave o prostitute.
Il Papa ha detto che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. E nella lettera al presidente iracheno ha chiesto che si usino «tutti i mezzi per risolvere la crisi umanitaria». Che significa tutti i mezzi?Credo che questa espressione vada intesa nel contesto del pensiero che il Santo Padre ha espresso sull’aereo nel viaggio di ritorno da Seul. Andare oltre, è fare violenza alle parole e alla mente del Papa.
Ma dispiegare nella zona una forza internazionale di pace, potrebbe essere una soluzione in linea con quanto affermato da Francesco?Questo è esattamente ciò i cristiani chiedono e che ho raccolto nel corso della mia missione. Mi hanno detto: «Siamo anche pronti a tornare nei nostri villaggi, a condizione che ci sia una cintura di sicurezza internazionale che ci permetta di avere la garanzia di riprendere la nostra vita».
In base al colloquio che lei ha avuto ieri mattina con lui, ritiene che il Papa possa sostenere questa richiesta?Papa Francesco oggi ha voluto più ascoltare che parlare. Ma ritengo che il Santo Padre, davanti agli obblighi morali che organizzazioni importanti come le Nazioni Unite hanno rispetto alla protezione dei più vulnerabili - i minori, le donne, i rifugiati -, consideri questo come un aspetto molto interessante, perché non sarebbe una guerra nel senso tradizionale del termine, ma potrebbe dare a questi rifugiati la protezione delle proprie case, delle proprie vite e delle loro famiglie.
In sostanza l’invio di caschi blu può essere una soluzione?In effetti è un’ipotesi molto interessante.
E come giudica invece la decisione del Parlamento italiano di inviare le armi ai curdi?Ribadisco che la missione che il Papa mi ha affidato era di tipo umanitario. Il Santo Padre mi ha detto : "Porti ai profughi la solidarietà mia e di tutta la Chiesa". Al tempo stesso ho incontrato le maggiori autorità regionali del Kurdistan ed esse hanno detto più volte di non avere bisogno di uomini, ma di essere messi in condizioni di difendersi.
In definitiva, qual è l’appello alla comunità internazionale che lei si stente di rivolgere?È l’appello che tanti cristiani mi hanno affidato e rivolto. «Salvateci. Non lasciateci morire».