Mondo

CASO MARO'. La parola torna ai giudici Famiglie delle vittime soddisfatte

Stefano Vecchia sabato 23 marzo 2013
​Dalle 18,50 di ieri (ora locale, le 14,20 in Italia) Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono nuovamente in India. Atterrati all’aeroporto internazionale “Indira Gandhi” di Delhi provenienti da Brindisi su un aereo militare, i nostri due fucilieri di Marina sono stati accompagnati nella nostra ambasciata. Il vice-ministro degli Esteri Staffan de Mistura, che li ha accompagnati, in serata ha avuto un colloquio con il ministro degli Esteri indiano, Salman Khurshid, prima di incontrare i media indiani.  Rientrati a poche ore dalla scadenza della licenza di quattro settimane concessa dal 22 febbraio per potere votare nel nostro Paese, i nostri militari resteranno all’interno della nostra sede diplomatica almeno fino all’inizio del processo previsto nella capitale, in una data non ancora annunciata e davanti a un tribunale speciale non ancora formato.Scongiurato il pericolo di una crisi diplomatica innescata dall’iniziale rifiuto italiano di ottemperare all’impegno preso con il governo indiano, ora la parola torna, insieme, alla diplomazia e ai giudici entrambi sottoposti alla pressione della politica interna, con un necessaria attenzione alla proiezione internazionale della vicenda. Ancora una volta, ieri il ministro Khurshid aveva dovuto chiarire che non vi è in corso alcun accordo con l’Italia, ma solo un chiarimento basato su opinioni legali e che il “voltafaccia” italiano riguardava soltanto le nostre autorità. Esclusa anche ogni sanzione per i due marò. Khurshid, che ha parlato con i media all’esterno del Parlamento di Nuova Delhi, ha anche sottolineato che la svolta nella vicenda «ha rafforzato la dignità della nostra magistratura e del nostro Paese».Un richiamo alla Corte Suprema, il cui presidente Altamas Kabir si era espresso con parole molto dure dopo che l’11 marzo da Roma era arrivato il diniego a un rientro in India dei nostri marò, definendo «non più credibile» il nostro ambasciatore Daniele Mancini per avere violato l’impegno preso verso la Corte stessa, è arrivato ieri anche dal premier Manmohan Singh che si è detto «felice del risultato». Nella mattinata, il responsabile degli Esteri indiano aveva confermato nell’audizione alla Camera bassa e al Senato indiani (Lok Sabha e Rajya Sabha) che l’India aveva garantito a Roma che i marò non sarebbero stati arrestati se fossero rientrati entro il termine stabilito dalla Corte Suprema e che il suo dicastero aveva risposto alla richiesta italiana di chiarimenti sul trattamento che sarebbe stato riservato ai nostri militari al loro ritorno, inclusa una condanna alla pena capitale, definito «un caso raro tra i più rari».Il ritorno dei marò in India, se ha nuovamente gettato nell’angoscia le famiglie dei due italiani, è stato accolto con soddisfazione sia dalle associazioni di pescatori del Kerala, sia da Dona, vedova di Jelastine, uno dei pescatori uccisi nel tragico incidente del 15 febbraio 2012, che ai media ha dichiarato di essere contenta del ritorno dei marò e di essere grata alla Corte Suprema per il suo impegno.Mentre i media nel complesso sottolineano la «vittoria» indiana e accennano alla «rabbia» e al «nervosismo» italiani attorno alla vicenda, resta in vigore la controversa proibizione di lasciare il Paese per il nostro ambasciatore Daniele Mancini. La posizione severa della Corte Suprema nei suoi confronti, il rifiuto di accettare ulteriori mosse del nostro responsabile diplomatico verso la Corte e la riunione già prevista per il 2 aprile, potrebbero impedire un provvedimento che consenta a Mancini di allontanarsi dall’India prima di quella data.