India. Padre Stan, dal carcere: «Grazie, continuiamo a cantare in coro»
Padre Stan Swamy, 83 anni, in carcere dall'8 ottobre scorso
"Anche un uccello in gabbia può sempre cantare". Dopo centodieci giorni di carcere con l'accusa di "terrorismo", a 83 anni e sofferente di una grave forma di Parkinson, il gesuita indiano padre Stan Swamy non ha perso la sua forza d'animo. Anche perché attorno a sé sente una comunità viva, che lo supporta e fa pressioni internazionali per la sua liberazione. Lo ha scritto in una breve lettera, riportata oggi dal sito di AsiaNews. Padre Stan è detenuto, dall'8 ottobre scorso, nel carcere di Taloja vicino a Mumbai.
"Innanzitutto - scrive padre Stan - ho apprezzato vivamente l'enorme solidarietà espressa da molti durante questi 100 giorni che ho già trascorso dietro le sbarre. In molti momenti le notizie di questa solidarietà mi hanno dato un'immensa forza e coraggio, specialmente quando l'unica cosa certa in carcere è l'incertezza".
Ma la sua preoccupazione non è solo per sé, bensì per quanti condividono la medesima sorte di detenuto in attesa di giudizio.
"La vita qui va avanti giorno per giorno - prosegue -. In questi 100 giorni un'altra cosa che mi ha dato forza è stata osservare le traversie di tutti coloro che si trovano in attesa di giudizio. La maggior parte di queste persone viene da comunità economicamente e socialmente deboli. Molti di questi poveri in attesa di giudizio non sanno nemmeno quali accuse siano loro rivolte, non hanno mai visto i propri fascicoli giudiziari e semplicemente rimangono in carcere per anni senza alcuna assistenza legale o di altro tipo.Nel complesso, quasi tutti i detenuti in attesa di giudizio sono costretti a vivere col minimo indispensabile, indipendentemente dal fatto che essi siano ricchi o poveri. Questo crea un senso di fratellanza e di comunità, dove comprendersi l'un l'altro diventa possibile anche in questa avversità".
Con padre Stan, che denunciava gli abusi dei grandi proprietari terrieri contro la minoranza tribale degli Adivasi nel territorio del Jhakarland indiano, sono stati arrestati altri 15 intellettuali. Per tutti l'accusa è di terrorismo, in base alla draconiana "Unlawful activities prevention act" approvata quasi due anni fa dal governo nazionalista di Narendra Modi.
"Dall'altro lato, noi sedici co-accusati non abbiamo potuto incontrarci, essendo detenuti in diverse carceri o in settori differenti della stessa prigione. Continuiamo però comunque a cantare in coro. Perché anche un uccello in gabbia può sempre cantare", conclude padre Stan.
Pochi giorni fa Arturo Sosa, padre generale della Compagnia dei Gesuiti, aveva lanciato un video appello per la sua liberazione. Una settimana fa il premier Modi, nell'incontro con i vescovi indiani, aveva ribadito l'intenzione di non intervenire nella vicenda, di competenza dell'anti-terrorismo. Si attende ora il pronunciamento del giudice sulla richiesta di libertà su cauzione, presentata dalla difesa il 12 gennaio e finora sempre respinta.