Guerra. Quegli strani «incidenti» a catena in Russia che spiazzano i servizi segreti
Le fiamme nell’impianto della Transneft, compagnia statale russa che gestisce gasdotti
Depositi di carburante, aziende specializzate nell’industria di difesa. Due giorni fa, anche una delle società editrici più antiche e grosse del Paese. Incendi che scoppiano dal nulla, apparentemente inspiegabili e slegati l’uno dall’altro, ma che provocano un serio danno alla macchina dello Stato russo e sembrano avere un comune denominatore: mettere in difficoltà il presidente Vladimir Putin e boicottare la cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina. Segno che, al di là dell’approvazione ufficiale, c’è un’opposizione nel Paese che non perde occasione per fare sentire la sua presenza.
Aprile è stato un mese particolarmente difficile per l’Fsb, il potente servizio segreto, che di fatto controlla il Paese ma che al momento si trova in difficoltà perché è impiegato anche sul fronte. Intorno al 20 del mese, in appena 48 ore, sono andati a fuoco un istituto di ricerca a Tver, un impianto di solventi a Dmitrievsky e uno stabilimento di impiantistica a Korolyov.
Nonostante la polizia russa abbia categoricamente escluso l’ipotesi attentato, molti canali Telegram hanno scritto che si è trattato di un attacco hacker pianificato nei minimi particolari, e per di più condotto proprio quando la Russia stava compiendo test per il lancio del missile intercontinentale Sarmat, con il quale il presidente Putin ha minacciato tutto il mondo. Un modo, forse, per fargli capire che un paio di serie minacce rischia di trovarsele anche a casa sua.
Verso la fine di aprile si sono verificate due esplosioni praticamente in simultanea a Bryansk a circa 150 chilometri dal confine con l’Ucraina. Anche in questo caso, il rogo si è sviluppato all’improvviso. Il primo all’interno di una struttura di proprietà della Transneft, compagnia statale russa che gestisce gasdotti lunghi decine di migliaia di chilometri.
Secondo le indagini, non si è trattato di incendio doloso, anche se i video postati sui canali social russi fanno pensare che, almeno in un caso, di possa parlare di sabotaggio. E in ogni caso, il fatto che ci siano state due esplosioni simultanee nella stessa città ha alimentato dubbi sulla versione ufficiale.
Non ci sono stati né vittime né civili, ma di fatto è stato messo fuori gioco un punto di rifornimento importante. Il secondo, ben più serio, si è sviluppato dentro una base. Le fiamme sono partite dai carri armati vicini al deposito, dove erano contenuti razzi e proiettili per l’artiglieria.
Infine, c’è il rogo di due giorni fa alla Prosveshchenie, una delle case editrici più storiche e grosse in Russia, specializzata nella pubblicazione di libri di testo. Le fiamme hanno interessato circa 33mila metri quadrati del 122mila di superficie totale. Nel rogo bruciati migliaia di testi scolastici e materiale per la stampa. Le autorità hanno escluso il dolo, ma un particolare fa pensare che si possa trattare di un altro attacco mirato.
Subito dopo lo scoppio della guerra, un ordine di servizio interno della società editrice aveva stabilito di eliminare dai testi riferimenti inappropriati all’Ucraina e a Kiev, in quest’ultimo caso consentito, ma solo se si parla della Rus di Kiev e comunque citata una volta sola. Nata durante il periodo sovietico, era stata privatizzata nel 2011. Da qualche anno la casa editrice era passata sotto il controllo di Arkady Rotenberg, uno degli uomini più vicini a Putin. La rimozione del termine Ucraina aveva avuto inizio nel 2014. Dal 24 febbraio ha subito un’accelerazione.