Un altro edificio sacro cristiano distrutto e un’altra strage evitata solo per l’intervento, questa volta tempestivo, delle forze dell’ordine. Un’altra comunità in fuga: le 30 famiglie battezzate del villaggio di Jaithikey, fino a due giorni fa in pacifica convivenza con il centinaio di famiglie musulmane. Quella che all’origine è forse una vicenda di amore tra due adolescenti, ha rischiato di diventare pretesto per un bagno di sangue. Secondo le prime ricostruzioni, all’origine delle tensioni vi sarebbe una relazione fra un ventenne cristiano di nome Fanish, e una ragazza musulmana di 15 anni, Hina. Il giovane, parte di un gruppo di cinque “aggressori” è stato accusato di avere strappato dalle mani della ragazza al ritorno dall’ora di istruzione religiosa la copia del Corano e di averlo gettato a terra.Diffusasi la notizia tra i musulmani in preghiera nella locale moschea, a decine si sono riversati nel quartiere cristiano, armati di bastoni, spranghe e mattoni, oltre che di materiale incendiario, e hanno dato alle fiamme l’edificio utilizzato dai protestanti e occasionalmente prestato ai cattolici di questo piccolo villaggio nei pressi della cittadina di Sambrial, nel Punjab, popolosa provincia pachistana teatro di gravi atti di violenza anticristiana nelle scorse settimane. Devastate anche due abitazioni adiacenti all’edificio.Ancora una volta i fatti di Sambrial chiamano in causa la “legge antiblasfemia”, pretesto per un gran numero di attacchi – sette quelli conosciuti che hanno interessato i cristiani nel 2009 – contro le minoranze religiose che costituiscono il 20 per cento della popolazione del Pakistan. Provvedimenti accolti nel codice penale pachistano che consentono di comminare pene severissime e anche la morte in base a una lettura estremista della legge coranica prima che vengano accertati fatti e circostanze.Ieri, tutti i mercati dei dintorni sono rimasti chiusi e la polizia ha pattugliato in forze il villaggio, dove si sono recate le massime autorità regionali per colloqui con i notabili locali. A calmare gli animi ha contribuito l’arresto del padre di uno dei giovani cristiani sotto accusa, ora ricercati dalla polizia. A loro volta, i leader cristiani hanno condannato il rogo e definito «allarmante» la situazione, sottolineando la palese incapacità del governo a proteggere le minoranze e i loro luoghi di culto.Solo il giorno precedente, giovedì, il Nunzio apostolico in Pakistan, Adolfo Tito Yllana aveva visitato la città di Gojra, diventato simbolo del martirio in questo che nel grande Paese asiatico è un anno particolarmente difficile per i cristiani.Davanti alle macerie di un popoloso quartiere, oggi in parte incendiato e in parte abbandonato dagli abitanti, monsignor Yllana ha espresso le condoglianze del Papa alle famiglie delle 11 vittime dell’aggressione del primo agosto, in maggioranza bruciate vive nelle loro abitazioni, e ha chiesto che musulmani e cristiani si impegnino a convivere pacificamente.Proprio riguardo ai fatti di Gojra, all’inizio della settimana la polizia aveva comunicato di avere arrestato quattro uomini appartenenti a organizzazioni fuorilegge e di avere sequestrato le armi in loro possesso. Khalid Hussain, Ijaz, Abid Farooq apparterrebbero al Sipah-i-Sahaba Pakistan, mentre Faqir Hussain Jutt sarebbe affiliato all’Harakat al Jehad al-Islami. I quattro addestratisi alla guerriglia in Afghanistan contro i sovietici, erano già conosciuti come pericolosi estremisti.