Il voto. In Iran vince l'astensione. Ma l'ultraconservatore Raisi è presidente
Ebrahim Raisi, magistrato ultraconservatore, sanzionato dagli Usa per la partecipazione alle esecuzioni di massa degli anni scorsi, ha ottenuto il 62% alle presidenziali, con il 90% di voti scrutinati
L'ultraconservatore Ebrahim Raisi è il nuovo presidente dell'Iran. Nelle elezioni di venerdì si è aggiudicato 17.926.345 voti (61,95%). L'affluenza è stata del 48,8%, la più bassa dalla nascita della Repubblica islamica. "Farò del mio meglio per migliorare i problemi della popolazione" ha assicurato il presidente eletto.
La Guida suprema iraniana Ali Khamenei ha detto che l'elettorato ha partecipato nonostante la propaganda per il boicottaggio di quelli che ha definito "i media mercenari del nemico e alcuni individui ingenui".
«Venite a votare, scegliete il vostro presidente». All’uscita del seggio, l’ayatollah Ali Khamenei ha esortato i 59 milioni di aventi diritto iraniani a partecipare alle elezioni. Perché «ogni voto conta», ha aggiunto la Guida suprema. Affermazione vera come non mai per la competizione di ieri in cui il dato dell’affluenza sembra più importante delle preferenze ottenute da ognuno dei quattro candidati in corsa. Uno solo di loro, il “falco” Ebrahim Raisi ha possibilità concreta di spuntarla, forse già al primo turno se dovesse superare il 50 per cento più uno dei voti, altrimenti si andrà al ballottaggio. Gli ostacoli sono, comunque, “contenuti”. Gli avversari scomodi, in particolare le figure di spicco del fronte riformista e conservatore pragmatico – 590 si erano registrati per la corsa – sono stati esclusi preventivamente. Solo sette hanno superato lo scrutinio preliminare del Consiglio dei guardiani della rivoluzione. Tre si sono ritirati. Tra i “superstiti” solo Abdolnasser Hemmatiates, ex governatore della Banca centrale, è, in qualche modo, considerato vicino allo schieramento moderato.
Gli altri – Mohsen Rezai e Amirhossein Qazizadeh Hashemi – appartengono alla galassia pasdaran. In ogni caso, è Raisi il preferito di Khamanei – ultima istanza reale – e, dunque, il super favorito per sostituire Hassan Rohani e archiviare la stagione dei cosiddetti riformisti al potere. Di fronte a un risultato che sempre già scritto, il malcontento si esprime con l’astensione. Mentre la tv mostrava per l’intera giornata immagini di lunghe file alle postazioni elettorali, l’agenzia semi-ufficiale Fars dava la partecipazione sotto il 40 per cento. Le attuali presidenziali, dunque, si profilano come quelle con minor affluenza dalla rivoluzione khomeinista. Prima di ieri, il dato più basso era il 50,3 per cento registrato nel 1993.
Particolarmente attivo nel boicottaggio è stato il movimento femminile che vede con forte preoccupazione la vittoria di Raisi, magistrato ultra-conservatore, sanzionato dagli Usa per la partecipazione dalle esecuzioni di massa degli anni scorsi. L’ascesa di Rohani aveva suscitato speranza nelle attiviste per la promessa di nominare tre ministre e di costituire un dicastero ad hoc. Ben presto, però, il 'moderato' ha disatteso gli impegni: solo due vicepresidenti donna, incarico per cui non è necessaria l’approvazione del Parlamento – Massoumeh Ebtekar e Massoumeh Ebtekar – sono entrate nel suo esecutivo. Stavolta, dunque, le iraniane avevano deciso di correre in prima persona: 40 candidate si era registrate: nessuna di loro è stata accettata. Questo spiega il boicottaggio, condiviso da gran parte del fronte pro-riformista. Negli ultimi decenni, tuttavia, proprio la bassa affluenza ha favorito gli integralisti: per questo Raisi ostentava sicurezza, pregustando il successo. Il punto è che, al di là del vincitore, la poca partecipazione rischia di acuire la crisi di legittimità del sistema, provocata dalla recessione e enfatizzata dalla pandemia.