«Aiuti umanitari» dall’Italia, ma anche l’impegno a «fornire di armi i combattenti iracheni». A pochi passi dall’ingresso del campo profughi di Bahrka, dove sono stati consegnati parte dei soccorsi giunti con i sei aerei della Cooperazione italiana nei giorni scorsi, il premier Matteo Renzi fa il bilancio del suo blitz diplomatico a Baghdad ed Erbil. Un doppio passo in Iraq per sancire e rafforzare l’impegno italiano nella crisi in Kurdistan. Un forte impegno, che Matteo Renzi, pure presidente di turno dell’Ue interpreta anche e soprattutto in chiave europea. Da Roma sono giunti gli esiti del dibattito in Parlamento sull’autorizzazione a consegnare le armi ai peshmerga curdi. Questo di certo un deciso passo in avanti dell’impiego del governo italiano di cui Renzi ha parlato con le autorità irachene.Un difficile equilibrio da trovare fra il governo federale di Baghdad e il governo regionale del Kurdistan; un difficile equilibrio militare fra un evanescente esercito nazionale e i peshmerga curdi impegnati in un fronte più ampio delle loro possibilità strategiche. «Ho proposto di consegnare le armi anche ai curdi, ma dandole in gestione e facendole consegnare dai funzionari di Baghdad», spiega il premier. Un “lodo Renzi” per l’Iraq, che non pare facile e nemmeno veloce da realizzare. Ma la presenza a Erbil – dopo quelle dei ministri degli Esteri tedesco, norvegese e svedese – del primo capo di un governo straniero è un segnale inequivocabile. È l’urgenza di denunciare un «genocidio», con «donne vendute ai bordelli di Mosul», con «bambini fucilati» e «giornalisti a cui è tagliata la testa ». Un genocidio «davanti a cui la comunità internazionale può permettersi di tutto tranne che restare a guardare», incalza il primo ministro italiano. Per questo il richiamo a Bruxelles è quasi un imperativo; «L’Europa non è soltanto i vincoli di Maastricht, lo spread. L’Europa è una idea di mondo, una idea di uomo», di democrazia. Da questa consapevolezza la decisione di fornire armi per combattere il Califfato islamico: «Questa non è una battaglia alla periferia, questa è una battaglia al cuore dell’Europa». Il rischio, nell’inerzia, è di consegnare al Califfato «una storia millenaria, una cultura antichissima alla barbarie». Colloqui importanti a Baghdad con il presidente Fuad Nasum e a Erbil con quello curdo Masud Barzani, oltre che con il premier uscente Maliki e con quello incaricato Abadi per avere il polso della situazione. «Praticamente tutte le autorità mi hanno detto che la soluzione non è di portare i profughi via da qui, ma di consentire che possano restare». Una frenata rispetto alla possibilità, avanzata da più parti, di visti di ingresso facilitati. Un nodo da risolvere quello iracheno e siriano anche per una seria politica sull’immigrazione, «al di là di stupide polemiche in Italia». Da qui l’impegno umanitario, quello sulla fornitura di armi, e la «gratitudine» per i raid aerei degli Stati Uniti. Una partita che si gioca su più tavoli, compresi quelli quanto mai caotici nei palazzi di Baghdad: l’auspicio di Renzi è che «siano superate le difficoltà politiche». I ringraziamenti a Nouri al-Maliki per il «passo indietro», equivalgono a un pieno appoggio di Roma a un governo di unità nazionale guidato da al-Abadi. Responsabilità dei politici locali anche se Renzi insiste su questa crisi come banco di prova per una Europa capace di «realizzare» una politica estera: «O abbiamo un nucleo di politica estera comune a difesa di valori comuni o l’Europa non esiste». La replica, che tutti auspicano rapida, ora spetta a Bruxelles.