Pandemia. Eritrea, il regime sferza l'ex Dancalia. «Noi vessati con la scusa del Covid»
Afar con i cammelli nella depressione della Dancalia
Da due mesi 300mila persone vivono assediate nell’ex Dancalia dal regime eritreo che sta usando la quarantena del Covid per regolare vecchi conti. Isolata la regione, chiusi i negozi, fuori i pazienti dalle strutture sanitarie, tagliate le scorte di cibo, vietate pesca e pastorizia. Misure anomale per prevenire la diffusione del virus. In Africa, secondo l’Unione Africana, in totale sono 162.673 i casi confermati e 4.601 le persone morte per l’infezione. In Eritrea si sono registrati solo 40 contagi e il 24 maggio, festa della indipendenza, il regime ha dichiarato di aver sconfitto il male. Non si conoscono dati dancali, eppure la morsa non si è allentata.
Nel mirino di Isaias Afewerki ci sono gli Afar, minoranza che vive tra le coste meridionali del mar Rosso, vicino a Gibuti e di fronte allo Yemen, e la depressione dancala, una delle zone più calde e inospitali del pianeta condivisa con l’Etiopia e ricca di minerali non ancora sfruttati. Qui, nell’area del cratere di Badda è morta domenica la 30enne Halima Mohammed. La donna incinta è spirata dissanguata domenica 31 maggio per un aborto spontaneo insieme al feto, sola e senza assistenza medica. Molte altre donne e bambini potrebbero essere morti di stenti e malattie nel silenzio di questa zona priva di collegamenti e dove solo il 20% ha acqua e luce. Di sicuro molti capifamiglia sono finiti nelle famigerate galere eritree per aver tentato di sfamare le proprie famiglie. La denuncia è partita con la campagna social #savedankalia lanciata dagli attivisti del Rsahro, organizzazione per i diritti umani della Regione del mar Rosso (così 20 anni fa il regime ha ribattezzato la Dancalia). Gli attivisti, perlopiù rifugiati all’estero, hanno accusato in una intervista a Radio France International il regime di aver messo in atto un tentativo di pulizia etnica contro una popolazione lasciata morire di fame e privata di cure con il pretesto del Covid. Gli Afar – popolo poverissimo che vive di pesca sulla costa e di pastorizia nell’interno, dove la temperatura tocca i 55 gradi – come confermato dalle relazioni di due speciali rapporteur per i diritti umani delle Nazioni Unite, sono presi di mira dall’esercito con aggressioni, stupri e arresti arbitrari da anni. Ora la loro leggendaria resilienza è messa a dura prova.
«La mia gente – afferma Ibrahim Ahmed, portavoce di Rsahro – circa 300 mila persone, tradizionalmente vive di pesca, di pastorizia e sfruttando le miniere di sale trasportato dai cammelli. Da anni il governo ostacola l’economia e fa mancare cibo e medicine, ma dal 2 aprile ha sigillato i confini con Etiopia e Gibuti senza prevedere misure per la sopravvivenza. Un assedio che rischia di uccidere tanti per fame».
La lista di violazioni dei diritti umani è dettagliata. Ai primi di aprile i leader delle comunità Afar hanno avvertito le autorità del rischio fame per l’esaurimento delle scorte di cibo. Sono state chiuse le panetterie e a fine mese il governo per tutta risposta ha sbarrato le porte dell’ospedale del porto di Assab e le strutture sanitarie mandando a casa malati e partorienti. Nessuno ha visto guanti e mascherine.
Poi è iniziata la guerra all’approvvigionamento. Le autorità di Assab hanno respinto l’offerta di aiuti alimentari alla popolazione fatta pervenire dai marinai degli Emirati Arabi, cui Asmara ha affittato una base portuale. Quindi hanno arrestato a metà e fine maggio decine di pescatori disperati che hanno preso il mare per sfamare le famiglie sequestrandogli le barche. Di loro non si hanno notizie. Numerosi anche i sequestri di cibo trasportato da Gibuti ed Etiopia dalle carovane dei cammellieri, tutti arrestati. Gli Afar allo stremo chiedono al governo asmarino di togliere l’assedio. E agli stati confinanti e alle organizzazioni umanitarie di intervenire urgentemente per salvare la Dancalia dalla fame. Qual è la ragione di tanta ostilità? Per Ibrahim «il governo vuole farli sloggiare da una zona strategica, dalla costa e dalle Isole Dahlak dove sono stati concessi insediamenti in affitto a iraniani ed Emirati Arabi e dal ricco sottosuolo dell’entroterra per sfruttarlo». Il regime nazionalista con l’ossessione del controllo non tollera questa minoranza che ha condannato a morire di fame sotto il velo del Covid–19.