Hillary Clinton è la candidata
democratica alla Casa Bianca. Secondo un calcolo fatto dall'Ap, l'ex
segretario di Stato ha i 2.383 delegati che servivano per ottenere la
nomination. Nel dirsi "lusingata", la Clinton ha invitato via twitter
gli elettori a recarsi comunque alle urne oggi nei sei Stati dove si
tengono le primarie democratiche: California, New Jersey, Montana,
South Dakota, North Dakota e New Mexico.
"Siamo sull'orlo di un momento storico", ha detto l'ex first lady -
che diventa così la prima donna candidata alla Casa Bianca -
sottolineando tuttavia quanto sia ancora forte la competizione da
parte del collega di partito Bernie Sanders. Che, in effetti,
attraverso il suo portavoce ha contestato il calcolo dell'Ap,
definendolo "affrettato".Hillary Clinton vince a Porto Rico e si avvicina alla nomination, alla vigilia del voto di oggi che potrebbe proiettarla oltre la soglia dei 2.382 delegati necessari per rappresentare il partito democratico alle elezioni dell’8 novembre. E, mentre il rivale Bernie Sanders perde terreno, Barack Obama è pronto a schierarsi ufficialmente al fianco del suo ex segretario di Stato nella battaglia contro il miliardario repubblicano. La vittoria di Clinton nel territorio Usa (che vota alle primarie, ma non ha il diritto di esprimersi nelle elezioni generali) ha dato un’importante spinta all’ex first lady in vista dell’ultimo super martedì di questa lunga mara- tona elettorale, che riguarderà sei Stati tra cui New Jersey e California. Clinton è infatti a meno di 30 delegati di distanza dal “numero magico”. Il margine di vittoria di 2 a 1 a Porto Rico sul senatore del Vermont ha confermato la presa di Hillary fra gli elettori ispanici ed è stata importante per il suo tempismo: proprio mentre il 74enne senatore liberal riaffermava la sua determinazione a proseguire la corsa fino alla convention democratica di fine luglio dove spera di poter strappare lo scettro a Clinton. Una speranza sempre più flebile, alla quale si aggrappano le frange più estreme dei sostenitori del “socialista”, deciso a tutto pur di non concedere la vittoria a Hillary. Ma i giochi sono ormai chiusi e i leader democratici speavrebbe rano che la loro compagine possa sanare la frattura fra centristi e progressisti e unirsi dietro Clinton per scongiurare il pericolo di una presidenza Trump. In prima fila fra questi è lo stesso presidente che si prepara a entrare direttamente nella corsa elettorale. Secondo il
New York Times Obama è pronto a dare il suo endorsement a Clinton entro la fine di questa settimana. E, soprattutto e in modo insolito per un presidente in carica, ad attaccare direttamente Trump, con il quale finora non ha cercato lo scontro diretto, evitando anche di rispondere alle provocazioni del magnate, che non ha mai esitato ad attaccarlo. Trump si è spinto fino ad abbracciare la teoria del complotto secondo cui Obama sarebbe nato in Kenya anziché alle Hawaii e quindi «usurpato» la Casa Bianca. Diversi consiglieri sostengono che Obama non veda l’ora di entrare nella mischia, anche perché il prossimo presidente, se democratico, potrà portare avanti la sua agenda. Secondo diversi analisti il presidente potrebbe essere un arma vincente per Clinton per vari motivi. Può offrirle il peso della sua popolarità, attestatasi attorno al 50%, potrebbe attrarre una serie di elettori non ancora convinti al 100% della candidata. Le posizioni più liberal di Obama, inoltre, potrebbero avvicinare a lei alcuni sostenitori di Sanders una volta che il senatore del Vermont deciderà di lasciare la corsa.Trump però non riserva la sua irruenza verbale solo agli avversari politici e sempre più esponenti repubblicani temono che le sue uscite possano compromettere le possibilità di una vittoria nelle presidenziali. L’ultimo battuta spiacevole del tycoon riguarda tutti i giudici americani di fede islamica, che secondo il candidato del Grand old party potrebbero comportarsi in maniera non imparziale nei suoi confronti a causa della sua proposta di impedire l’ingresso ai musulmani negli Stati Uniti. Trump aveva espresso analoghi dubbi sull’imparzialità di un giudice di discendenza messicana. Affermazioni giudicate gravi dal leader della maggioranza repubblicana al Senato Mitch McConnell, che si è detto in «totale disaccordo », e dall’ex speaker della Camera Newt Gingritch che le ha bollate come «il peggiore errore » commesso da Trump.