Africa. I pirati ora colpiscono nel golfo di Guinea
Venti Paesi, seimila chilometri di costa e 11mila chilometri quadrati di Oceano. Il Golfo di Guinea è da alcuni anni il punto caldo della pirateria africana che ha drasticamente aumentato i suoi attacchi dalle acque del Senegal a quelle dell’Angola. Uccisioni e sequestri si susseguono con attacchi alle imbarcazioni internazionali e agli equipaggi. «Siamo molto preoccupati: quest’area ha registrato un aumento senza precedenti di rapimenti », ha riferito Michael Howlett, direttore della Camera di commercio internazionale (Icc) dell’International Maritime Bureau (Imb). «Le ultime statistiche confermano l’importanza dello scambio di informazioni e di coordina- mento tra le imbarcazioni che navigano nel Golfo di Guinea. Senza le necessarie strutture – ha continuato Howlett –, non saremo capaci di individuare le zone con maggiore rischi per i marinai e affrontare gli attacchi pirateschi nelle acque più vulnerabili». Sebbene nel mondo sia diminuito il numero di crimini nel mare, le cifre sono cresciute invece esponenzialmente sulle coste dell’Africa occidentale e centrale. Secondo l’Imb, sono stati «almeno 121 i marinai rapiti nel Golfo di Guinea nel 2019», quasi il doppio rispetto all’anno prima.
Negli ultimi mesi del 2019, sei differenti sequestri hanno coinvolto 64 persone. Tale regione è diventata talmente pericolosa che l’India, la cui comunità di marinai è seconda solo a quella delle Filippine, ha proibito ai suoi uomini del mare di navigare nell’area. Gran parte degli assalti è avvenuta al largo delle acque nigeriane, camerunesi e beninesi. Ma altri Paesi come Togo, Ghana, Costa d’Avorio e la Repubblica democratica del Congo soffrono sempre degli effetti di tale piaga. «L’industria marina europea fa appello all’Unione Europea affinché si adottino misure concrete contro la pirateria – ha recentemente detto Martin Dorsman, segretario generale presso l’Associazione di armatori della Comunità europea (Ecsa) –: la sicurezza delle navi deve essere una priorità assoluta per gli accordi commerciali con i nostri partner africani nel Golfo di Guinea». I governi africani lamentano da anni una grande mancanza di mezzi per combattere la pirateria nelle acque del Golfo. Oltre alla vastità dell’area da pattugliare, le guardie costiere locali sono spesso penalizzate da un’insufficienza di armamenti, imbarcazioni e personale. E questo continua a consentire ai pirati, un’accozzaglia di criminali di varie nazionalità africane, di agire liberamente dove e quando vogliono. Mentre sulle rotte dell’Africa orientale, in particolare al largo di Somalia e Yemen, l’operazione Atalanta dell’Unione Europea è riuscita in pochi anni a ridurre gli attacchi fino ad azzerarli lo scorso anno, in Africa occidentale non ci sono ancora stati investimenti di alto livello per la sicurezza. Le acque nigeriane restano le più pericolose.
A causa dell’alto livello di traffico, le imbarcazioni sono costrette a rimanere anche per settimane davanti alla costa della Nigeria prima di attraccare. E la presenza della guardia costiera locale è minima. Tali condizioni offrono alla criminalità la possibilità di facili attacchi con ingenti guadagni e bassi rischi. La congestione nel porto di Lagos, per esempio, permette a una grande quantità di navi di ritrovarsi in un territorio molto limitato. Il bersaglio grosso è costituito dalle petroliere: gli attacchi sono finalizzati alla cattura del carico, che viene poi instradato sulle rotte del mercato nero del petrolio. Ben presto, come ammoniscono da tempo gli armatori e gli esperti di criminalità internazionale, il Golfo di Guinea potrebbe diventare una vera e propria «zona di guerra». Perché il business sta crescendo e le vittime rischiano di aumentare «provocando anche possibili conflitti tra i differenti Paesi costieri». E la ricetta per contrastare il fenomeno resta la stessa, evidenziata nel marzo scorso dai leader dei 33 Stati che si sono riuniti per discutere di sicurezza marittima nel golfo guineano: «Finanziamenti, infrastrutture e cooperazione».