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Afghanistan. «Noi donne vittime di un vero e proprio apartheid di genere»

Agnese Palmucci venerdì 5 luglio 2024

L'attivista afghana Metra Mehran

«In Afghanistan, come donne, siamo vittime di un vero e proprio apartheid di genere. Un meccanismo di segregazione e discriminazione autorizzato per legge dal regime dei taleban - ripete Metra Mehran - Ora chiediamo che la comunità internazionale ascolti il grido delle donne e riconosca come crimine l’operato dei taleban». Mehran è un’attivista afghana per i diritti delle donne, consulente per l’Atlantic Council e ricercatrice per le Nazioni Unite. «A Roma in questi giorni ho incontrato esponenti delle istituzioni italiane per chiedere di avviare al più presto il processo per riconoscere l’apartheid di genere come crimine a livello nazionale, seguendo quanto hanno già fatto Paesi come Canada, Australia, Gran Bretagna - ha aggiunto l’attivista, in esilio negli Stati Uniti dal 2021 e promotrice della campagna #EndGenderApartheid -. Speriamo che l’Italia con la sua Rappresentanza Permanente alle Nazioni Unite ci supporti in questa battaglia, così da arrivare al più presto a una risoluzione da parte dell’Onu per riconoscere ufficialmente come reato la negazione strutturale dei diritti delle donne in Afghanistan e Iran».

Grazie alla mediazione della Fondazione Pangea Onlus, che si occupa di donne afghane, Mehran ha incontrato a Roma anche la società civile. «Siamo l’unico Paese al mondo in cui i diritti fondamentali sono negati alle donne per legge. Siamo bandite dal lavoro, dalla scuola, dalla vita sociale». Dall’agosto 2021, con il ritorno dei taleban, le donne non hanno mai smesso di denunciare pacificamente la loro condizione, dentro e fuori l’Afghanistan. «Molte di noi, nel Paese, continuano ad essere uccise, torturate, portate via da casa nella notte, stuprate per aver manifestato. Nel marzo 2023 con un gruppo di afghane e iraniane in esilio abbiamo deciso così di lanciare una campagna internazionale contro il gender apartheid e in molti nel mondo ci hanno seguito».

I primi giorni di luglio si è tenuto a Doha il terzo turno di colloqui sull'Afghanistan promossi dall'Onu con i taleban, seduti al tavolo, che hanno ottenuto l’esclusione delle donne afghane dal meeting. «Noi continuiamo a vedere questo atteggiamento dell’Onu come un tradimento, ma ci aspettiamo che la comunità internazionale ora, grazie alla grande mobilitazione globale, non possa più ignorarci. Questo è il risultato della resistenza delle donne in Afghanistan, in Iran e in tutto il mondo». Se la segregazione delle donne venisse codificata come crimine dall’Onu, il regime talebano sarebbe perseguibile dal diritto internazionale. «In più questa decisione impedirebbe che il regime talebano venga riconosciuto prima o poi come legittimo governo dell’Afghanistan. Questo darebbe speranza al nostro popolo, lo aiuterebbe a resistere contro l’oppressione dei taleban, sapendo che il mondo è dalla nostra parte».