L'analisi. Quel «vuoto» americano sul clima che Pechino vuole riempire
«Se gli Usa usciranno dall'accordo, il vuoto verrà riempito». La previsione è del presidente della Commissione Europea Jean-Claude Junker ed è stata fatta poche ore prima che Donald J. Trump annunciasse, «nell'interesse del popolo americano» l'uscita degli Stati Uniti dall'accordo sul clima siglato a Parigi nel dicembre di due anni fa.
La legge di natura sul vuoto che si completa è nota, come appare altrettanto noto il soggetto sottinteso del vaticinio dell'ex premier lussemburghese: la Cina. La caratteristica di colmare gli spazi è infatti insita nella politica estera cinese da oltre un decennio, come del resto nelle aziende di Stato o partecipate che operano all’estero. Da almeno tre lustri Pechino ha occupato gli spazi lasciati liberi dai vecchi colonialisti europei e dagli americani in Africa. L’ultimo progetto, solo in ordine di tempo è stato inaugurato l’altro giorno a Nairobi ed è la ferrovia che collega la capitale kenyana alla costa di Mombasa. Non si tratta, chiaramente di filantropia o generosità, ma di affari. La Cina “influisce” su una mezza dozzina di governi del Continente, con appoggi più o meno palesi dal punto di vista economico. Quello che un tempo si esportava sulla punta delle baionette ora lo si fa con le triangolazioni di capitali.
Ieri a Berlino, incontrando la cancelliera Angela Merkel, il premier cinese Li Keqiang ha ipotizzato di nuovo l’apertura di un mercato comune, con l’abbattimento dei dazi tra il gigante asiatico e l’Unione Europea. Tentando così di occupare la zona d’ombra che Trump sta estendendo sempre più nei rapporti commerciali privilegiati tra il Vecchio continente e gli Stati Uniti. A Bruxelles l’auspicio non si è però concretizzato perché restano profonde distanze sul commercio.
Ma è sul clima che la Cina ha tentato di giocare l’ultima carta: in una sorta di gioco reinventato dei “due cantoni” con Washington. Questa mattina il premier e i vertici dell’Unione Europea avevano annunciato una dichiarazione sul clima. «La Cina – aveva già detto nel pomeriggio di giovedì Li – continuerà a mettere in atto le promesse di andare con fermezza, passo dopo passo, verso l’obiettivo al 2030». Fallito però il consenso sulla questione che riguarda l’accesso della Cina allo status di economia di mercato, è saltata anche la dichiarazione comune con la Ue sul clima. Pur ribadendo l’«impegno» a restare nell’accordo di Parigi.
E non c’è da dubitare, perché Pechino resta il più grande “docente della materia”, avendo raggiunto da tempo il triste primato di primo inquinatore al mondo con il 28 per cento di produzione di gas serra sul pianeta. L’impegno cinese sull’ambiente, sperano in tanti ottimisti sarà quindi fondamentale. Anche se, come ha ribadito Trump l’altra sera, Pechino potrà continuare a bruciare carbone quasi senza limiti fino al 2030.