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Il profilo. Chi è Vance, il numero 2 alla Casa Bianca che definì Trump un idiota

Luca Miele giovedì 7 novembre 2024

J.D.Vance con il suo cane

La sua è stata una trasformazione. Di più una palingenesi, una vera e propria folgorazione sulla via di Mar-a-Lago. Perché il nuovo vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance fino a qualche anno fa era un acerrimo nemico di Donald Trump. Tanto da infilzarlo con una serie di sciabolate. «È un’eroina culturale», lo bollò in un articolo scritto per The Atlantic. «Penso che sia nocivo e stia conducendo la classe operaia bianca in un posto molto oscuro», rincarò su NPR. Su Twitter gli diede «dell’idiota». In privato ci andò ancora più pesante, definendolo un potenziale «Hitler americano».

Insomma per il 40enne di Middletown, Ohio, Trump era il male assoluto, il nemico, l’uomo da tenere lontano. Poi tutto è cambiato, ed è iniziata quella che il New Yorker, che certo non prova simpatia per la nuova stella della politica a stelle e strisce, ha definito «l’improbabile ascesa di J.D. Vance». Una rincorsa che arriva da lontano.

Una infanzia «turbolenta» come lo stesso politico l'ha descritto in “Elegia americana”, l’autobiografia del 2016 divenuta un bestseller che lo «catapultò nella fama» come ha enfatizzato la Cbs e nella quale Vance scriveva «di non aver realizzato nulla di grande nella mia vita». In realtà J.D. taglia i traguardi, uno dopo l’altro. Si laurea in Scienze politiche e filosofia presso l'Ohio State University, per poi iscriversi, nel 2010, alla Yale Law School. Nel 2015 entra a far parte di Mithril Capital, una società di venture capital gestita dal rampollo della Silicon Valley Peter Thiel.

Nel novembre 2022, viene eletto al Senato degli Stati Uniti, «con l'aiuto di oltre 10 milioni di dollari in donazioni da parte di Thiel», scrive Politico. Nel 2019, fonda la sua società di venture capital, Narya, con sede in Ohio. «Il nuovo vicepresidente – sintetizza il New Yorker – ha scalato la vetta delle istituzioni americane: il corpo dei Marines (con tanto di missione in Iraq), la Yale Law School, la Silicon Valley».

Quindi la trasformazione: da «mai con Trump» a sua scudiero, da bardo operaista a numero due della nomenclatura a stelle e strisce. A guidarlo nella sua corsa è stato il fiuto politico o un altrettanto forte senso dell’«opportunismo»?

La Reuters ha provato a catturare il suo segreto: «Le convinzioni politiche di Vance, che mescolano isolazionismo e populismo economico, si incastrano alla perfezione con quelle di Trump e mettono entrambi gli uomini in contrasto con la vecchia guardia del Partito Repubblicano, dove i falchi della politica estera e gli evangelisti del libero mercato hanno ancora potere».

Di certo Vance – sposato con l’avvocata Usha Chilukuri e padre di tre figli – non ha da invidiare a Trump l’aggressività, come quando ha definito Kamala Harris «gattara infelice e senza figli».

Mentre nella sfida con Tim Walz, tra i candidati alla vicepresidenza organizzato dalla Cbs a New York all’inizio di ottobre, ha saputo mostrare, a giudizio degli analisti, un volto “moderato”, riuscendo a zigzagare tre la polemiche che lui stesso aveva in precedenza “attizzato”.

Tra i punti fermi della sua visione politica c’è l’Ucraina. O meglio, non c’è l’Ucraina. «Devo essere onesto con te – ha detto a Steve Bannon in un’intervista nel 2022 – non mi interessa davvero cosa succederà all’Ucraina in un modo o nell’altro». «Se pensi da dove viene e dove si trova, a quarant’anni – ha argomentato l’analista conservatore Yuval Levin – J.D. è il personaggio di maggior successo della sua generazione nella politica americana».

«Siamo davanti alla più grande rimonta della storia americana», ha detto ieri Vance per celebrare la vittoria sua e di Trump. E c’è chi scommette che per lui la corsa è appena iniziata.