Mondo

Africa. Il terrore a sud del Sahara: Parigi nel mirino

Camille Eid sabato 21 novembre 2015
Il doppio ruolo, politico ed economico, giocato dalla Francia in Africa la pone inevitabilmente al centro non solo di tutte le agitazioni che interessano il Continente, ma anche di una minaccia terroristica in continua espansione. Protagonista inaggirabile in una vasta area estesa dalle coste dell’Atlantico fino all’Oceano indiano, Parigi è “investita” dalla strisciante radicalizzazione islamica che interessa le sue ex colonie, nonostante la resistenza – qua e là – di forme di sufismo o del rito malekita, relativamente tollerante. Chi gira per le strade di Bamako – ma ciò vale anche per numerose altre città dell’Africa subsahariana – si rende conto del preoccupante aumento delle “ninja” negli ultimi anni. I tradizionali abiti eleganti e colorati delle donne africane sono spesso sostituiti dal velo integrale islamico, accessoriato di guanti e calze neri. In questo largo scacchiere regionale, il Mali – definito da un esperto francese il “cocktail Malitov” (dall’unione delle parole Mali e molotov) – assume per la Francia un’importanza di primo piano. Qui, la presenza militare francese è vissuta dalla popolazione locale come un male necessario, preferibile sì allo smembramento del Paese e all’attività terroristica dei vari gruppi jihadisti, ma comunque come un male. Nel vicino Niger, l’integralismo non ha ancora attechito in ambito politico (i partiti di ispirazione islamica sono vietati), ma il contagio della sharia si sparge nelle parti meridionali del Paese, confinanti con la Nigeria. Lo stesso vale per il Ciad, interessato dalle incursioni di Boko Haram. Nel Benin, il radicalismo avanza nelle regioni in cui regna la disoccupazione, e dove ottenere una borsa di studio nel Kuwait o in Arabia Saudita è diventato un mezzo per assicurarsi un avvenire e un lavoro nelle Ong arabe. Più critica la situazione nel Corno d’Africa, dove l’attività terroristica degli Shabab somali sta minando la stabilità di numerosi Paesi dal Gibuti al Kenya. Ogni piccola ingerenza di Parigi nella politica interna diventa così l’occasione di un nuovo atto di accusa da parte dei fondamentalisti, i quali vedono nell’ex potenza coloniale la fonte di tutti i guai dell’Africa. Guai politici, ma anche guai economici legati alle prospettive di sviluppo del Continente. È, infatti, la Francia a garantire la parità fissa tra l’euro e il franco Cfa, ossia la valuta adottata da 12 ex colonie francesi dell’Africa occidentale e centrale, oltre alla Guinea Equatoriale e alla Guinea-Bissau. Parigi sta così al centro di un vasto sistema monetario, finanziario ed economico, senza dimenticare la presenza di amministratori francesi all’interno delle alte istanze delle banche centrali africane, che conferiscono al Paese un diritto di veto. Recentemente, alcuni presidenti di Paesi della “zona franco” hanno criticato «l’unico sistema monetario coloniale al mondo sopravvissuto alla decolonizzazione », considerato uno strumento di controllo economico e politico dell’ex madre patria. I cospicui aiuti finanziari (altri 300 milioni di euro al Mali decisi a ottobre per «lottare contro il terrorismo e soddisfare gli imperativi dello sviluppo») non sono affatto presi in considerazione dai jihadisti che sembrano non notarli. Al contrario, sono molto attenti a mettere in risalto altri dettagli. Così, della grande manifestazione di Parigi contro l’attentato a Charlie Hebdo, i radicali hanno ritenuto soltanto il fatto che il presidente del Mali Keïta abbia sfilato prendendo sottobraccio François Hollande e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Il leader di Ansar Dine, Iyad Ag Ghali, è ricomparso lo scorso primo novembre in un messaggio audio per minacciare la Francia e rigettare il piano di pace sottoscritto a maggio dai gruppi “laici” del Mali. «Possano le vostre cinture esplosive – ha detto rivolgendosi ai musulmani del Paese – rispondere alla crociata » condotta dalla Francia nel Mali e nell’Azawad, il nome dato dai Tuareg al nord del Paese. Ghali ha, soprattutto, esortato i vari gruppi jihadisti a pentirsi della loro divisione e a coalizzarsi sotto l’unica bandiera del jihad contro la Francia. Un appello, questo, che non sembra essere caduto nel vuoto.