«Come può una forza tanto grande essere racchiusa in un corpo così minuto?» È stata questa la prima cosa che ha pensato Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur, quando ha visto entrare nella stanza Meriam Ibrahim con in braccio il piccolo Martin, ancora con i capelli umidi dopo il bagnetto. Due giorni fa, l’attivista italiana è stata nella stanza dell’ambasciata statunitense di Khartun dove, dal 26 giugno, la mamma cristiana aspetta di poter lasciare il Sudan insieme al marito, Daniel Wani, e ai due bambini. «È stato un privilegio », ha raccontato Napoli ad
Avvenire. Prima di lei solo il vice-ministro degli Esteri, Lapo Pistelli aveva potuto incontrare la giovane, liberata dopo quasi dieci mesi di carcere per apostasia. Il 15 maggio, un tribunale della capitale l’aveva condannata all’impiccagione a meno che non si fosse “pentita”. Ovvero avesse rinunciato alla sua fede e avesse abbracciato l’islam, peraltro mai abbandonato in quanto Meriam è stata cresciuta nella religione della madre, il cristianesimo appunto. Solo la mobilitazione internazionale – che ha avuto tra i protagonisti in Italia oltre ad
Avvenire anche Italians for Darfur – ha spinto i giudici a fare marcia indietro. Il 22 giugno Meriam è uscita dalla cella, salvo essere fermata il giorno dopo con l’accusa di voler lasciare il Paese con un passaporto falso. La questione dovrebbe risolversi a breve, ma i tempi in Sudan sono sempre relativi. Il Ramadan, poi, contribuisce a dilatarli. In attesa della partenza, Meriam e Daniel vivono letteralmente con le valigie pronte. «C’erano sul pavimento 4 o 5 borse, mezzo aperte. Come chi potrebbe andar via da un momento all’altro», racconta Napoli ad
Avvenire. La meta della coppia è il New Hempshire, negli Stati Uniti, dove Daniel trascorre vari periodi dell’anno.«Sarebbero molto felici, però, di visitare l’Italia, in particolare il Vaticano. Poter incontrare il Papa sarebbe poi una gioia immensa per Meriam e Daniel, entrambi molto credenti. Si sono conosciuti in chiesa, grazie alla sorella di lui. Si sono innamorati quasi subito. Poi, nel 2011, si sono sposati. Quando le ho domandato se la prigionia aveva in qualche modo cambiato il suo rapporto con la religione, mi ha risposto con prontezza di no. Le difficoltà non hanno minato la sua fiducia profonda in Dio: “Sarà Lui a guidarmi”, mi ha ripetuto».