Ucraina. «Sono russa, e quasi mi vergogno. Mio nipote là va in giro con la Z»
Nada Crasko ha 81 anni, è russa e vive a Zaporizhzhia
«Sì, sono russa». Nada Crasko racconta le sue origini quasi sotto voce, con le lacrime che le rigano il volto circondato da un cappello di lana viola. Ne era orgogliosa. Adesso prova vergogna. Perché, spiega, «ho due figli che sono nell’esercito e non so dove combattano». L’esercito di cui parla è quello ucraino, che sta proteggendo anche la sua casa dall’ambizione di Mosca di occupare l’intera regione di Zaporizhzhia, per 80% già in mano alle truppe del Cremlino. Ha 81 anni, Nada, e abita nel maggiore quartiere popolare del capoluogo, quello di Shevchenkivskyi. Una casa modesta, persa fra settemila villette malmesse che formano l’agglomerato a est della città dove si trovata anche l’aeroporto che il conflitto ha chiuso. Si sente ucraina in tutto e per tutto la piccola professoressa d’economia in pensione. «Questa è la terra della mia vita. Lo devo a mio marito che è ucraino. L’ho sposato 56 anni fa». Ora lo assiste giorno e notte da quando ha perso la vista. «Per la legge è un invalido, ma lo Stato non ci assicura un’assistenza economica sufficiente». Al suo fianco i volontari della comunità greco-cattolica che la sostengono anche con gli aiuti umanitari distribuiti dalle religiose di San Basilio nelle zone più difficili della città e nei villaggi vicino al fronte.
La consegna degli aiuti umanitari distribuiti dalle religiose di San Basilio nelle zone più difficili di Zaporizhzhia - Gambassi
«Non voglio che i russi ci conquistino – sospira Nada –. E lo dico io che ho una parte della famiglia in Russia». Compresa sua sorella che vive nel distretto rurale di Orlovsky. «Ogni volta che la chiamo, mi ribadisce che quanto sta facendo Putin è giusto. Tanti lo appoggiano. Anche lei, anche gli altri parenti, anche suo figlio che indossa sempre magliette con la “Z” identica a quella che compare sui mezzi militari di Mosca arrivati in Ucraina. Poi mi dice: “Con noi ci sarà la pace”. E io ribatto: “I russi affermano di volere la pace e vengono a ucciderci”». Ha provato a spiegarle che Zaporizhzhia è sotto le bombe. «Ma mia sorella non lo ritiene possibile. Crede soltanto a ciò che sente in televisione. “Voi distruggete le nostre città”, continuo a urlarle al telefono. Ma nulla». Riprende fiato. «Soffro per la guerra. E soffro per le bugie che dividono la nostra famiglia».
Nada Crasko ha 81 anni, è russa e vive a Zaporizhzhia. «Questa è la terra della mia vita. Lo devo a mio marito che è ucraino». - Gambassi
Oltre la staccionata la bandiera dell’Ucraina e quella dell’Europa sono l’una accanto all’altra nella casa del vicino che alle finestre ha il nailon invece che il vetro. Nada si sistema il cappotto imbottito. Ripete spassiba mentre riceve il pacco viveri che le hanno portato suor Lucia e Natalia, energica donna del distretto che si definisce «ucraina da sette generazioni». Spassiba è “grazie” in russo. È la lingua che qui tutti, o quasi, parlano in casa e anche fuori casa. Anche i suoi figli. «Hanno 45 e 41 anni. Tre mesi fa sono stati chiamati per arruolarsi». C’è il dolore di una madre dietro la partenza dei “ragazzi”, ma anche la consapevolezza che serve difendere il Paese aggredito. «È un sacrificio necessario. Uno è rimasto qui nella regione. L’altro sta seguendo un corso di addestramento e non ha ancora una destinazione». Poi indica la foto della nipote. «Anche suo marito è soldato. Ha perso una gamba nella battaglia per liberare Mykolaiv».
Sulle pareti di casa sono appesi i certificati di laurea dei coniugi Crasko. «Non rinnego i tempi dell’Unione Sovietica. Abbiamo vissuto discretamente. Mio marito Andrey, un apprezzato ingegnere, era responsabile di una fabbrica. Poi con la fine del comunismo lo stabilimento è stato chiuso». E lui si è ritrovato senza lavoro. «Ha fatto un po’ di tutto, anche il conducente dei treni. Siccome so che cos’era l’Urss e quale fosse il rapporto cordiale fra i popoli, non riesco a capire questa brutalità verso di noi». Come reazione anche Nada prova a dialogare in ucraino. «In passato chi parlava ucraino era considerato un cittadino di serie B – spiega Natalia –. Oggi ci riappropriamo della lingua».
Stanislav Belimenko, 85 anni, vive in uno dei quartieri popolari di Zaporizhzhia - Gambassi
Il nome dei Crasko è nella lunga lista dei poveri di guerra che Natalia compila ogni settimana. Malati, famiglie numerose, anziani su cui grava la crisi umanitaria che l’invasione russa ha provocato. Lo sa bene Stanislav Belimenko, 85 anni, a cui è rimasta solo la sua casetta. Ha perso la moglie e il figlio. «Come affronto le esplosioni che si sentono spesso con il fronte così vicino? Dicendo che accadrà ciò che Dio vorrà». Il bastone della sua vecchiaia ha il volto di un nipote che ogni tanto lo visita. «Questa è una guerra assurda, tra fratelli. Non può esserci un fratello che uccide l’altro soltanto perché uno vuole vivere libero e indipendente», avverte. Consapevole che la pace sembra ancora troppo lontana e l’annunciata controffensiva sarà un bagno di sangue.
La consegna degli aiuti umanitari distribuiti dalle religiose di San Basilio nelle zone più difficili di Zaporizhzhia - Gambassi