Le navi di mezzo mondo attraccano qui, l’ultimo porto sicuro prima di avventurarsi nel golfo di Aden, la geènna delle acque somale. C’è chi tira un respiro di sollievo per la missione riuscita e c’è chi fa gli ultimi calcoli – e scongiuri – prima di ripartire verso il golfo. Sempre più spesso il porto di Gibuti è pure la sospirata meta di quegli equipaggi che hanno sfiorato la morte, sopportando mesi di prigionia alla mercé dei pirati somali, e poi sono liberati, nella maggior parte dei casi grazie al pagamento di un riscatto da parte dei proprietari delle navi o delle autorità governative che le rappresentano. Sono 20mila le imbarcazioni, militari o commerciali, che transitano qui annualmente, senza contare quelle colme di disperati clandestini somali in direzione delle sponde yemenite. Quest’ultimi fuggono da un Paese, la Somalia, che con l’inizio della guerra civile nel ’91 è imploso, trasformandosi nel più grande fallimento della storia di una nazione. Ed è proprio in quel periodo, dopo le carestie che hanno colpito il corno d’Africa nel ’74 e nell’86, che la pirateria ha avuto origine. Gruppi di nomadi hanno iniziato a organizzarsi in comunità di pescatori poiché il suolo non produceva più e il bestiame era completamente sterminato. « La caduta del regime di Siad Barre, l’inzio della guerra civile, e la disintegrazione sia della marina somala sia della polizia costiera » sono l’inizio di tutto spiega Mohamed Abshir Waldo, analista autore di Le due piraterie in Somalia: perché il mondo ignora l’altra. «Tra il ’ 92 e il ’ 91 dei pescherecci illegali hanno cominciato a sconfinare nelle acque somale, bramosi di aragoste e pescato dal prezioso valore com- merciale». La guerra tra i pescatori locali e quelli che praticavano la pesca « illegale, non- documentata e non- regolata», era iniziata. Quest’ultima fattao principalmente con imbarcazioni europee e asiatiche, alle quali si sono poi aggiunte quelle russe e americane. «Le comunità somale – continua Waldo – hanno documentato casi di pescherecci illegali che rovesciavano acqua bollente sulle canoe dei locali, distruggevano le reti, e frantumavano le loro barche uccidendo la gente a bordo» . I pescatori hanno quindi deciso di armarsi per difendersi. Con il continuo aggravarsi della crisi somala, più attori sono entrati in gioco e le strategie, nonché le armi dei pescatori somali ormai etichettati come ' pirati', sono diventate più sofisticate. Secondo l’Unità di crisi per l’alto mare – un organismo internazionalio indipendente – circa 800 imbarcazioni illegali nelle acque somale fanno razzia di pesce per un valore annuale che supera i 450 milioni di dollari: cinque volte tanto l’ammontare degli aiuti umanitari che spediscono in Somalia ogni anno. La risposta – fra corsari – non è meno pesante: secondo l’Ufficio marittimo internazionale ( Imb), durante i primi sei mesi del 2009 ci sono stati 240 attacchi, più del doppio rispetto ai 114 nello stesso periodo del 2008, e la situazione somala è la principale causa di questo aumento. In tutto il 2008 furono 42 le imbarcazioni sequestrate dai pirati somali con successo, mentre nei mesi del 2009 sono già 31. Sequestri giustificati sovente dai bucanieri con l’accusa di trasportare rifiuti tossici. Qualcosa di vero potrebbe esserci se lo Tsunami, una volta raggiunta la Somalia, aveva fatto riaffiorare bidoni pieni di sostanze chimiche che dai primi anni novanta erano stati buttati in mare. Una guerra corsara che potrebbe avere il suo Stato pirata: la regione semiautonoma del Puntland, Somalia settentrionale, è diventata la culla della pirateria. La Buccaneer ha passato qui i suoi ultimi quattro mesi e secondo alcune indiscrezioni della marina italiana, il denaro dei riscatti è usato per raggiungere l’indipendenza in un futuro prossimo. «Se l’amministrazione del Puntland non attuerà delle riforme decisive coinvolgendo tutti i clan, la regione potrebbe spaccarsi violentemente, aggravando ulteriormente la crisi somala» ha scritto recentemente un rapporto dell’International crisis group ( Icg). La comunità internazionale risponde pagando i riscatti, o armando le proprie navi e le amministrazioni locali. Gli Stati Uniti hanno regalato 40 tonnellate di armi al governo somalo, ma la stampa ha già documentato che le armi vengono rivendute nei mercati di Mogadiscio. Non è da escludere che ne siano entrati in possesso anche dei pirati.