Il Paese è ancora instabile, come ha testimoniato la scossa di 5.5 gradi Richter che martedì ha interessato le aree già terremotate del Paese. E anche ieri la terra ha tremato di nuovo, con una frustata tellurica di 4.9 gradi Richter. Le repliche aumentano la della popolazione impegnata a ricostruirsi un futuro dopo il sisma del 25 aprile. Il bilancio di quest’ultimo si fa ogni giorno più pesante. Si parla ormai di oltre 8.300 morti e 17mila feriti. La scossa del 12 maggio – meno forte e distruttiva delle precedente – ha ucciso almeno 117 persone, mentre in 2.760 sono rimasti colpiti. I soccorritori hanno localizzato i rottami dell’elicottero militare americano disperso da martedì scorso. Sul velivolo – impegnato in operazioni di assistenza umanitaria alla popolazione, vi erano otto persone: finora, però, sono stati ritrovati solo sei corpi. La vita dei sopravvissuti è dura. Il problema principale è la mancanza di rifugi temporanei. Gli aiuti internazionali fanno fatica ad arrivare: nel Paese vi è un unico scalo adatto, quello di Kathmandu, dunque gli aerei devono turnarsi sulle piste. Dalla capitale, poi, i container devono raggiungere le aree esterne alla Valle di Kathmandu, spesso isolate e incastonate tra le montagne. Le Nazioni Unite stanno premendo sui Paesi donatori affinché rendano disponibili i 423 milioni di dollari necessari per l’emergenza. La corsa della comunità internazionale, non sempre coordinata e non sempre sostenuta dalle autorità, ha comunque «fatto la differenza ». Lo conferma anche Beppe Pedron, coordinatore regionale per l’Asia meridionale della Caritas italiana. «Ciò che permette un intervento pianificato e quanto più possibile professionale è la solidarietà internazionale, che ancora una volta si è dimostrata attenta. È solo grazie ai moltissimi donatori, piccoli e grandi, che le centinaia di migliaia di famiglie colpite possono sperare nel soccorso e nella ricostruzione», spiega il coordinatore. Caritas Nepal, con il supporto della rete Caritas internazionale, tra cui Caritas Italiana, ha l’obiettivo di raggiungere nei prossimi due mesi 20mila famiglie in sette distretti fornendo generi di prima necessità e rifugi temporanei. «Questi assai necessari perché le piogge sono in in arrivo e con esse disagi ancora più gravi – sottolinea Pedron –. A tutto ciò si aggiungono i bisogni delle fasce più deboli della popolazione: anziani, ammalati, diversamente abili, minoranze, donne e orfani». Come spesso succede, ma più ancora in Nepal, già “fragile” per quanto riguarda la condizione di donne e minori. In che modo è possibile la loro tutela nel post-terremoto? «Tutti gli interventi di Caritas prevedono, negli standard operativi che ci siamo fissati e ai quali tutti ci atteniamo, la protezione di minori e l’attenzione prioritaria verso le donne. Oltre alla tutela praticata dalle organizzazioni umanitarie, però, la protezione è affidata alle strutture sociali tradizionali, alle famiglie, ai villaggi, sempre in coordinamento con le autorità e i leader religiosi». Della situazione dei bambini – 1,7 milioni sono coinvolti direttamente dal sisma in base alle stime Unicef – si occupa Save the Children, che nel Paese ha strutture permanenti. «Il problema principale dalla nostra prospettiva è quello dell’accesso alle scuole e a altri servizi in comunità devastate e da ricostruire, non solo sul piano edilizio o delle comunicazioni. Il trauma che ha colpito la popolazione è sia collettivo, sia individuale, comunque profondo. Per questo – conferma Gemma Gillie, portavoce a Kathmandu della Ong britannica –, è ancora più importante che l’attenzione si concentri sui più deboli, per evitare che il trauma sia permanente e per non esporli anche a altri pericoli». «Abbiamo squadre che cercano di capire la situazione, soprattutto il degrado del tessuto sociale per potere intervenire. Obiettivo primario è di garantire un ambiente protetto ai bambini e questo coinvolge noi e molti altri, sia dei soccorsi, sia delle autorità nepalesi», segnala Gillie.