I cristiani di Betlemme. «Natale è anche dramma. Restate accanto a noi»
Sopra, i ragazzi della Casa del Fanciullo di Betlemme con fra Sandro Tomasevich. Sotto, a sinistra, padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa, alla Grotta del Latte di Betlemme. A destra, fra Rami Asakrieh, parroco della chiesa latina di Betlemme
Dentro le case, passano in tv le immagini delle capitali europee piene di luci, di colori, di pacchetti. Fuori, le strade sono deserte, silenziose. E la gente di Betlemme si chiede perché qui, proprio qui, proprio adesso, tutto debba essere così difficile.
Per il secondo anno la città del Natale è blindata. Niente pellegrini, alberghi vuoti, taxi vuoti, negozi vuoti, laboratori vuoti. Le restrizioni dovute alla pandemia stanno impattando pesantemente sulla piccola comunità cristiana. Il 90% dell’economia della città ruota intorno al turismo. Famiglie – circa 1.500 – che qui hanno sempre vissuto con dignità del loro lavoro. E che adesso hanno perso tutto.
«Proprio come Giuseppe e Maria, i genitori fanno il possibile per prendersi cura dei figli in un momento storico di grave difficoltà», ha detto il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, che per il suo messaggio di Natale ha scelto la Grotta del Latte, poco distante dalla Grotta della Natività. «Questo santuario – ha spiegato – ci ricorda che il Natale non è solo poesia, ma anche dramma. Giuseppe nel cuore della notte è costretto ad alzarsi, prendere con sé il bambino Gesù e sua madre Maria e fuggire in Egitto. La Grotta del Latte ci riporta al gesto tenero con cui Maria, in una breve sosta, allatta il bambino Gesù». Un bambino che «fin dal momento della nascita, ha incontrato ostilità e rifiuto. Come tante persone costrette oggi ad abbandonare le proprie case». «Vien da chiedere che le altre famiglie, quelle che stanno bene, sappiano avere il cuore aperto», ha concluso padre Francesco.
Betlemme cerca di tenere lo sguardo sul futuro. «Ma è molto peggio dell’anno scorso – spiega fra Rami Asakrieh, parroco della parrocchia latina di Betlemme (www.bethlehemparish.org) –. Nel 2020 c’erano i risparmi delle famiglie, e i fondi accantonati. Adesso non c’è più nulla, ed è davvero difficile rianimare la speranza».
Nella piazza della Mangiatoia l’albero è acceso. In giro, solo residenti. Nel 1948 i cristiani erano quasi il 90%. Adesso sono il 12%. La situazione era già complicata prima della pandemia. Il governo dell’Autorità nazionale palestinese ha fornito sussidi per i primi mesi. Poi più nulla. «Il nostro ufficio sociale, dentro la parrocchia – continua fra Rami –, ha sempre cercato di venire incontro ai bisogni di tutti. Prima si trattava soprattutto di medicine. Ora le richieste sono aumentate in modo esponenziale. Cibo, bollette, l’affitto, le rate dell’università».
Tanti ragazzi sono stati affidati alla Casa del Fanciullo di Betlemme, la struttura della Custodia che da sempre si prende cura dei giovani in difficoltà. «Adesso sono una trentina – dice il responsabile, fra Sandro Tomasevich – dai 7 ai 18 anni –. E ci dà grande forza vedere che tanti bambini che stavano male, ora si sono reinseriti, collezionano successi a scuola. Riempiono di senso quella parola, “resilienza”, tanto usata adesso: il più bel regalo in questo tempo complicato».
Tante famiglie, però, si sentono dimenticate, e pensano di andar via. «Vedendo i pellegrini, soprattutto a Natale che qui, con il calendario delle varie confessioni, dura quasi due mesi, trovavano la forza, sia economica che spirituale, di resistere – dice fra Rami –. Ora questa connessione è persa». Cosa fare per aiutare? «Pregate per noi», conclude il parroco di Betlemme. «Restateci accanto. Chiedete, con noi, giustizia a livello politico. E venite in Terra Santa, appena sarà possibile, senza arrendervi alle difficoltà».