Il dialogo interrotto, per antonomasia, resta quello del Medio Oriente: l'Intifada dei coltelli, lanciata dai palestinesi nell'ottobre scorso, ha già provocato almeno 150 vittime. Benjamin Netanyahu e la controparte palestinese Abu Mazen hanno posizioni distanti e in tempi brevi, dopo il raffreddamento dei rapporti tra Washington e Gerusalemme, non sono alle viste svolte clamorose.
Il 25 gennaio a Ginevra dovrebbe invece riprendere il dialogo sulla
Siria, tra i regime di Bashar al-Assad e il gruppo di ribelli ostili alo Daesh e ai qaedisti di al-Nusra. Nello
Yemen continua la mediazione delle Nazioni Unite che ha portato a una prima, breve pausa negli scontri tra gli sciiti Houthi e il governo dell'Arabia Saudita che sostiene il presidente Hadi, costretto alla fuga da Sanaa.
In
Libia, dopo l'accordo delle scorse settimane sulla formazione di un governo di unità nazionale, resta la difficoltà di avvicinare le posizioni del Parlamento islamista di Tripoli ai deputati in “esilio” a Tobruk ma riconosciuti dalla comunità internazionale. Nei prossimi giorni il lavoro dell'inviato dell'Onu Martin Kobler dovrebbe portare alla formazione definitiva di un governo che tenti di portare il Paese fuori dalle violenze per contrastare la minaccia dei jihadisti fedeli al sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi che si è insediato a Derna, nell'Est della Cirenaica.
In Africa il voto senza violenze di mercoledì scorso a Bangui, dove dal viaggio di papa Francesco, a fine novembre, sembrano cessate le violenze come ha riferito il nunzio Coppola, pare ridare speranza al dialogo nel martoriato
Centrafrica. Altissimo lo scontro invece in atti in
Burundi, dove anche ieri una bomba ha ucciso nel centro di Bujumbura: il presidente Pierre Nkurunziza, con il terzo mandato ottenuto nonostante la Costituzione lo vietasse, ha scatenato le violenze portando il Paese come ha affermato in più occasioni l'Onu, sul baratro della guerra civile.