Reportage. A Kiev è ripartito l’ospedale dei bambini che fu colpito da un missile
«Stiamo ancora lavorando». La vernice spray è rosa, colore caro ai ragazzini. Su un pannello di legno che ha preso il posto di una delle vetrate devastate, una mano anonima ha scritto a nome di tutto il personale quello che l’Ucraina già si aspettava e quello che la Russia non voleva accadesse: l’ospedale pediatrico di Kiev ha ripreso a funzionare. Non lo ha fermato il missile di Mosca che tre settimane fa è caduto nel crocevia dei padiglioni intorno a cui si sviluppa la maggiore cittadella della salute per i bambini di tutto il Paese.
La scritta "Stiamo ancora lavorando" lasciata dal personale dell'ospedale pediatrico di Kiev - Gambassi
Con le facciate sfregiate dalle schegge, con i reparti trasferiti nelle ali rimaste intatte, con gli androni ancora stipati di letti o apparecchi distrutti, con le finestre esplose che sono state sostituite dal nailon o dalle assi di truciolato, resiste “Okhmatdyt”, come tutti chiamano il polo medico della capitale. Né più né meno come a Firenze tutti chiamano in modo familiare il loro “Meyer”. «In meno di una settimana abbiamo riaperto la chirurgia, il pronto soccorso, la riabilitazione, la neurologia. Pochi giorni dopo l’oncologia. Ieri sono ricominciate le visite ambulatoriali e gli interventi chirurgici: venti quelli già previsti», spiega il direttore sanitario, Serhiy Chernyshuk.
Il direttore della riabilitazione, Pavlo Andreev, e il direttore sanitario dell'ospedale pediatrico di Kiev, Serhiy Chernyshuk - Gambassi
Oltre la sbarra e gli agenti di sicurezza che presidiano l’ingresso dove sono stati lasciati orsacchiotti e giocattoli recuperati dopo l’attacco, la strada porta alla piazzetta che è il cuore dell’ospedale. Quella in cui il razzo russo è piombato a metà mattina. La attraversano i piccoli pazienti e le loro famiglie che sono tornati ad abitare il presidio. Alcuni con le mascherine sul volto per ripararsi dalla polvere che sale dal cratere dove una gru rimuove le macerie lasciate dallo stabile dell’emodialisi che per metà non esiste più: raso al suolo nell’impatto dell’ordigno giunto dal cielo. Distrutta anche la stazione elettrica. «E questo ci ha costretto a fermare tutto per una settimana. È chiaro l’intento della Russia: mettere in ginocchio il nostro sistema sanitario mentre siamo in guerra», sostiene Chernyshuk.
L'ingresso dell'ospedale pediatrico di Kiev con i giocattoli salvati dall'esplosione del missile - Gambassi
Kateryna Gelensnyk spinge la carrozzina di suo figlio Vadim: ha tredici anni e le gambe paralizzate dopo una malattia. «Però qui ha ripreso a muoverle», sorride la donna originaria di Odessa. È l’ospedale del miracolo per lei e il suo ragazzo. Come per le migliaia di baby pazienti che ogni anno lo frequentano. «Eravamo anche noi qui fa quando il missile è arrivato. Stavamo aspettando di salire nei reparti. C’è stato come un terremoto. Poi fumo. Distruzione ovunque. La polizia ci ha recuperati. Vadim è rimasto sotto choc per giorni. Tremava». E piangeva. «Quando la riabilitazione ha riaperto, gli ho chiesto se voleva continuare a venire. Pensavo non se la sentisse. Invece mi ha detto subito: “Mamma, andiamo…”».
Kateryna Gelensnyk spinge la carrozzina di suo figlio Vadim: erano in ospedale quando il missile è arrivato - Gambassi
Il reparto è al quinto piano del blocco B, uno di quelli investiti dall’esplosione. Quando le porte dell’ascensore si aprono, i corridoi mostrano gli effetti dell’attacco: controsoffitti crollati, vetri in frantumi, frammenti di pareti sui pavimenti. «Erano le nostre stanze della riabilitazione», racconta Kateryna. Traslocate di pochi metri, nell’altra metà del piano che è scampata alla furia russa. «Paura di essere ancora qui? No. Sappiamo che a “Okhmatdyt” la vita rinasce».
I baby malati sono tornati fra le corsie dell'ospedale pediatrico di Kiev ancora danneggiate dall’esplosione - Gambassi
Il direttore del reparto, Pavlo Andreev, mostra una porta forzata. «Ho dovuto sfondarla il giorno del bombardamento. Era caduto tutto. Avevo cinque pazienti bloccati con me: ragazzi in mezzo ai detriti, alla confusione, al panico, ma comunque salvi». Non alcuni dei nuovi macchinari donati dall’Italia con un progetto della fondazione Soleterre, la ong che dal 2003 è impegnata accanto ai bambini dell’Ucraina e dal 2018 collabora con il reparto oncologico di “Okhmatdyt”. «Dopo l’attacco una parte dei bimbi evacuati è stata ospitata anche nella nostra “Dacha” per le famiglie che seguono le cure dei loro figli malati di cancro», racconta il capomissione in Ucraina, Gioele Scavuzzo. E alcuni sono già rientrati in ospedale. Quello dove Soleterre sogna ancora di creare una struttura di riabilitazione psico-fisica per i “piccoli feriti” di guerra. «Bambini che per le bombe hanno amputazioni, estese bruciature, disabilità, traumi», afferma Gioele.
La Ong italiana "Soleterre" accanto all'ospedale pediatrico di Kiev - Gambassi
L’accordo, finanziato con i fondi per la cooperazione internazionale del Governo italiano, è stato firmato a inizio 2024. «E avevamo già individuato gli spazi: un segmento della palazzina della diagnostica e della chirurgia – dice il direttore sanitario –. Ma l’immobile dovrà essere abbattuto. Troppo compromesso dall’esplosione per essere ristrutturato». È uno dei due edifici che l’ospedale ha perso del tutto. Però sulla ricostruzione si allungano già alcune ombre. Il ministero della Salute ha appena bloccato il contratto della società che ha vinto l’appalto: non solo l’impresa si è aggiudicata la gara con una cifra più alta delle concorrenti, ma «non ha neppure la capacità di eseguire i lavori», ha appurato la polizia.
La palazzina dell’emodialisi su cui è piombato il missile che l’8 luglio ha colpito l’ospedale pediatrico di Kiev - Gambassi
Erano 650 i pazienti al momento del raid. «Già adesso siamo in grado di accoglierne 250. Però le malattie non aspettano», sospira il dottor Chernyshuk. Indica le camere sventrate dall’onda d’urto e i murales deturpati. «Non c’è stato alcun errore. I russi hanno proprio mirato sull’ospedale con cento chili di esplosivo contenuti nel missile – afferma –. Perché in contemporanea hanno bombardato una clinica a pochi chilometri in linea d’aria, sull’altra riva del fiume Dnipro. E qui da noi poteva essere una strage». L’allarme antiaereo è stato un “salvavita”. «Quando è scattato, come prevedono i protocolli, abbiamo fatto scendere molti dei pazienti e dei familiari nei rifugi. E quelli non trasportabili sono stati messi in angoli riparati, lontano da muri perimetrali e finestre».
La dottoressa Svitlana Olehivna uccisa dal missile russo caduto sull'ospedale pediatrico di Kiev - Gambassi
Lo ha fatto anche la dottoressa Svitlana Olehivna. Era nel dipartimento dell’emodialisi con trenta ragazzi attaccati alle macchine e altrettanti congiunti. «Li ha portati tutti al sicuro. Poi è tornata per accertarsi che non ci fossero altri malati. E il missile ha centrato l’edificio – ripercorre Pavlo Andreev –. È morta a 30 anni. Li aveva compiuti un mese prima». Una delle due vittime: l’altro è un parente in visita. Più di settanta i feriti. L’ordigno era di fabbricazione russa ma, secondo i risultati investigativi appena resi noti, alcune componenti erano d’origine straniera, fra cui statunitense. La fotografia della giovane nefrologa pediatrica è circondata di fiori accanto al bancone della reception. Il memoriale del dolore nel “santuario” dove la sofferenza si fa speranza.
I piccoli pazienti tornano nell’ospedale pediatrico di Kiev bombardato - Gambassi
«C’era bisogno che la macchina sanitaria si rimettesse immediatamente in moto – conclude Serhiy Chernyshuk –. È un messaggio che dovevamo mandare alla nostra gente. E ci fa piacere quando in tanti ci domandano: “Quando riaprite? Questo è un luogo straordinario”». Una pausa. «Però non riavremo il reparto di neonatologia. Almeno per ora. Era un’eccellenza. Il bombardamento ha pregiudicato la terapia intensiva. Le vite fragili non possono correre rischi».