Africa. Il Mali del dopo-golpe si offre a Putin: «arruolati» i mercenari della Wagner
Un soldato dell'operazione francese Barkhane in Mali
Se sia solo un modo per attirare l’attenzione (e i fondi) di una Francia che vorrebbe smobilitare oppure una più definitiva scelta di campo in senso anti-occidentale è ancora tutto da vedere. Sta di fatto che la notizia di un imminente accordo tra i paramilitari russi del gruppo Wagner e la giunta golpista del Mali – Paese chiave del Sahel sia sul fronte della penetrazione islamista nell’Africa sub-sahariana che delle rotte dei migranti – ha messo in allarme le diplomazie europee e la stessa Washington. La società privata russa, che si occupa di sicurezza e addestramento militare, è infatti già presente in Africa grazie a un contratto con la Repubblica Centrafricana firmato nel 2018, dove è accusata di abusi e saccheggi di risorse minerarie.
Soprattutto, però, Wagner è vista come la longa manus del Cremlino, visti gli stretti rapporti tra il proprietario del gruppo, Evgenij Prigozhin, e Vladimir Putin. Ufficialmente, i mercenari russi – già presenti in almeno 30 Paesi di quattro continenti – dovrebbero occuparsi in Mali di aspetti relativi alla sicurezza. I contatti sono stati confermati ieri dal ministro degli Esteri russo Lavrov, che ha parlato di «attività legitttime». Di fatto, ovunque sia stata chiamata a operare, la compagnia è diventata uno strumento importante con cui la Russia ha diffuso la sua influenza, difendendo i suoi interessi economici senza essere coinvolta ufficialmente in territori considerati importanti. Per anni la Francia ha inviato militari nell’ex colonia attraverso l’operazione antiterrorismo Barkhane, che non è riuscita però a stabilizzare un Paese che ha vissuto continui golpe, conflitti interni e una sempre più pervasiva penetrazione islamista. Ancora ieri un soldato francese è morto nel corso di un’operazione. A giugno, Emmanuel Macron ha annunciato il ritiro dei circa 5.100 soldati francesi, parte dei quali verrà reimpiegata in una task force europea, Takuba, che combatte contro i miliziani nel Sahel insieme agli eserciti del Mali e della Nigeria. Ad altri Paesi verrà poi chiesto di contribuire all’alleanza, compresi gli Stati Uniti, che finora hanno fornito solo supporto logistico e di intelligence nel Sahel.
Nei giorni scorsi, però, sempre più conferme sono arrivate su un accordo tra la giunta golpista maliana e i mercenari di Wagner, un migliaio dei quali verrebbero ufficialmente assoldati per far fronte proprio al capitolo sicurezza. In un comunicato firmato una settimana fa dal primo ministro Choguel Kokalla Maiga, la giunta militare ha ribadito il diritto di scegliere l’operatore cui rivolgersi e ha accusato la Francia, sostenendo che «ci sono partner che hanno deciso di lasciare il Mali per ripiegare su altri Paesi, pertanto ci sono aree che sono state abbandonate». Nella capitale maliana Bamako è quindi arrivata la ministra della Difesa francese, Florence Parly, per ribadire le preoccupazioni di Parigi (che ha forti interessi anche nel confinante Niger, dove vorrebbe aumentare la sua presenza) e la posizione francese su un eventuale contratto tra la giunta militare e l’azienda russa («Non possiamo convivere con i mercenari»). Parly ha avvertito che la mossa «isolerebbe il Mali a livello internazionale».
La ministra è quindi ripartita ottenendo quanto meno la rassicurazione che nessuna decisione definitiva sarebbe stata ancora presa. Anche all’interno della giunta maliana ci sarebbero posizioni contrapposte sull’eventualità di assegnare ai russi il compito di addestrare le forze maliane e di far loro garantire la protezione di alcuni leader politici. Parigi sottolinea che i paramilitari russi «si sono distinti in passato, particolarmente in Siria e in Centrafrica, per le estorsioni, le predazioni e violazioni di ogni genere».
Nei loro confronti pende un’accusa di crimini di guerra in Centrafrica da parte dell’Onu. Mentre la Francia, sottolinea Parigi, «su richiesta delle autorità maliane, ha scelto di accompagnare il Mali nella lotta contro i gruppi terroristici armati» e di «soffrire e unire i suoi partner intorno a una visione comune con e per il Mali». Certo, dopo otto anni non si può dire che i risultati siano stati all’altezza delle aspettative. Ma il dopo potrebbe essere anche peggio.