Crescono le persecuzioni anticristiane. Il letale virus dell'illibertà
Potrebbe sembrare un lusso tornare a occuparsi di libertà religiosa in una stagione come questa, quando ancora il mondo intero è sotto la spada di Damocle del Covid 19. Altre priorità incombono, altri temi suscitano l’attenzione dei media. In una fase storica in cui la salute globale è minacciata dalla persistenza di un virus pericolosamente mutante, in un momento nel quale la ripresa economica rimane pesantemente condizionata da mille variabili, che senso tornare a interrogarsi sulla situazione della libertà religiosa nel mondo? Il Rapporto 2022, stilato da Porte Aperte/Open Doors e presentato a Roma, ci offre una prima risposta. La situazione va peggiorando, la persecuzione anticristiana non si arresta.
Anzi: oltre 360 milioni di cristiani, vale a dire uno su sette, sperimentano un livello alto di persecuzione e discriminazione nel mondo. L’Afghanistan dei taleban ha scalzato la Corea del Nord di Kim Jong-un dal primo posto di questa tutt’altro che onorevole classifica. E sono saliti a quasi seimila i cristiani uccisi per cause legate alla loro fede. Basterebbero cifre del genere – se non abbiamo anestetizzato il nostro cuore di fronte alle sofferenze altrui – a provocarci, non solo come credenti, ma innanzitutto come cittadini del mondo. Non è tutto: Porte Aperte/Open Doors avverte che quest’anno si registra il più alto livello di persecuzione da quando la World Watch List è stata pubblicata per la prima volta, 29 anni fa. Negli ultimi tempi infatti l’aumento del fenomeno è stato costante, sebbene il tema sia entrato, non senza fatica, anche nelle agende della politica. Riflettere e lasciarsi interpellare da una questione del genere non è, quindi, affare per pochi, un optional per addetti ai lavori, bensì un tema cruciale, che attiene allo 'stato di salute' della convivenza umana. Un mondo nel quale troppe persone rischiano la vita per esercitare un loro diritto fondamentale è un mondo malato. Nel recente discorso agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, papa Francesco è stato molto esplicito: «Non bisogna mai dimenticare che 'ci sono alcuni valori permanenti'.
Non sempre è facile riconoscerli, ma accettarli 'conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale'». Tra questi diritti, Francesco additava il diritto alla vita e, appunto, quello alla libertà religiosa. Qui non siamo, beninteso, in presenza di rivendicazioni 'di bottega' o di pretese di tipo confessionale. Quando parliamo di libertà religiosa, intendiamo che la politica deve farsi carico della tutela di un diritto che riguarda ogni uomo e ogni donna: vale per le comunità cristiane cinesi quanto per le minoranze islamiche perseguitate in alcuni Paesi musulmani, vale per i rohingya del Myanmar come per i cattolici dell’India nella morsa del fondamentalismo indù.
Difendere la libertà religiosa, va ripetuto ancora una volta, non è un gesto oscurantista, ma equivale a tutelare le basi di una serena e feconda convivenza umana. È, insomma, una battaglia di civiltà, da condurre in nome della ragione, di una ragione che non obbedisce solo alle regole della scienza ma tiene aperta la porta al Mistero. Abbagliati come siamo dai 'prodigi' della tecnologia e della scienza – che sembrerebbero, da sole, sufficienti a garantirci il futuro (del resto, non è grazie alla ricerca che abbiamo ottenuto i preziosi vaccini per sconfiggere il Covid?) – rischiamo di dimenticare quanto affermava Pascal. Ovvero che «l’ultimo passo della ragione è riconoscere che c’è un’infinità di cose che la superano ». Ebbene, in un discorso del 2014 papa Francesco ricordò al mondo non solo che «la ragione riconosce nella libertà religiosa un diritto fondamentale dell’uomo che riflette la sua più alta dignità», ma anche che libertà religiosa significa libertà di vivere secondo i principi etici conseguenti alla verità trovata. Sia privatamente, sia in pubblico. «Questa è una grande sfida nel mondo globalizzato – commentava il pontefice – dove il pensiero debole, che è come una malattia, abbassa anche il livello etico generale, e in nome di un falso concetto di tolleranza si finisce per perseguitare coloro che difendono la verità sull’uomo e le sue conseguenze etiche». Lottare contro il Covid 19, quindi, è certo una priorità globale, ma senza dimenticare che il virus dell’intolleranza religiosa, della discriminazione, della violenza è non meno pericoloso e foriero di nefaste conseguenze.