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Siria. Il futuro del partito Baath di Assad: perché non va seguito l'esempio dell'Iraq

Camille Eid lunedì 9 dicembre 2024

La statua di Hafez al-Assad rovesciata dai ribelli che sono entrati a Damasco

Da rifugiato “per motivi umanitari” a Mosca, l'ex presidente siriano al-Assad può considerare chiusa la sua carriera politica iniziata per caso trent'anni fa dopo la morte del fratello maggiore Bassel in un incidente stradale. Allora, il padre, il presidente Hafez al-Assad, lo aveva richiamato da Londra, dove stava studiando oftalmologia, per “iniziarlo” alla carriera militare in previsione della sua ascesa alla massima carica dello Stato, avvenuta poi nel luglio 2000.

Mosca – dove peraltro è stata issata stamattina sull'ambasciata siriana la nuova bandiera nazionale – ha qui un precedente, quando ha vietato all'ex presidente ucraino Viktor Yanukovich, scappato in Russia nel 2014, di svolgere attività politica in esilio. Semmai, si pongono interrogativi sul futuro del partito Baath (Risorgimento, in arabo) che ha fatto il bello e il cattivo tempo in Siria sin dal 1963, ancora prima che il clan Assad ne prendesse le redini nel novembre 1970 grazie a un “movimento correttivo”.

L'ala (rivale) irachena del Baath era stata bandita per legge dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003. Ancora oggi, l'Iraq risente di questa politica di “de-baasificazione” che non solo ha emarginato la comunità sunnita del Paese, ma ha anche privato Baghdad di migliaia di pubblici funzionari, medici e insegnanti costretti alle dimissioni.

In Siria, il partito Baath ha dovuto rinunciare già nel 2012, un anno dopo lo scoppio della rivolta, al suo ruolo – previsto dall'articolo 8 della Costituzione – di “partito leader” della nazione e del popolo. I membri del Baath sono pure scesi dagli iniziali 2,5 milioni prima della guerra all'attuale mezzo milione censito all'ultimo congresso tenutosi a giugno. Fattori, questi, che non hanno comunque impedito al Baath siriano di continuare a detenere la maggioranza dei posti sia all'Assemblea del popolo (169 seggi sui 250 alle ultime elezioni dello scorso luglio), sia all'attuale governo guidato da Mohammad Ghazi al-Jalali, chiamato oggi a passare i poteri ai nuovi padroni del Paese.

Evitare di seguire l'esempio dell'Iraq risparmierebbe alla Siria inutili scossoni interni in un momento in cui la stessa comunità alauita – considerata a ragione il bacino storico del partito insieme alle altre minoranze – ha dato ultimamente segnali di insofferenza nei confronti di un clan, quello appunto degli Assad, che aveva gravemente compromesso il suo ruolo nazionale per oltre mezzo secolo.