Ucraina. Vendette tra boss, tradimenti e affari loschi. La mafia all’ombra della guerra
Quando uno dei grandi magazzini di Odessa venne distrutto, molti si domandarono cosa nascondesse all’interno. I primi reporter giunti sul posto non trovarono alcuna traccia di equipaggiamento militare, ma solo attrezzi ginnici in fumo, palloni da calcio, tavole da surf incenerite. Sembrava una delle tante rappresaglie scatenate per seminare il terrore. In realtà, era un regolamento di conti. Per comprendere la guerra in Ucraina non sono sufficienti le lenti degli studiosi di geopolitica o quelle degli esperti militari. Nel conflitto c’è una componente criminale più simile alle vendette della mafia che alle operazioni tattiche.
Perché tra un bombardamento e un raid, le forze di Mosca, spesso accusate di sparare deliberatamente a pioggia senza veri obiettivi se non quello di mettere in fuga la popolazione, continuano a punire impresari e uomini d’affari ucraini che hanno tagliato i ponti con i rastrellatori di rubli e ora sostengono la causa nazionale. Poco dopo il supermarket del fitness, la distruzione avrebbe riguardato un resort sulla spiaggia di Odessa, tre stabilimenti industriali a Mykolaiv e il 31 luglio la camera da letto dove dormiva Oleksiy Vadaturskyi con la moglie, il magnate del grano ucraino ucciso da un missile il 31 luglio perché aveva rotto definitivamente con i russi. La mattina dopo sarebbe dovuto scappare da Mykolaiv per continuare a finanziare da lontano il contrattacco ucraino. Non sempre sull’asse Kiev-Mosca si tratta di affari puliti. E non di rado i boss della mafia russa hanno esportato merci indicibili, appoggiandosi ad alcune “famiglie” di Odessa, specializzate nel far transitare nel gigantesco porto quei prodotti e quelle persone che non devono lasciare traccia.
Gran parte delle armi e della droga che è possibile negoziare in quel bazar dell’illegalità chiamato Transnistria, la regione separatista filorussa in territorio moldavo, arrivavano proprio attraverso gli scali marittimi ucraini. Non è un caso che adesso Kiev si rivolga ai massimi esperti al mondo in indagini antimafia: le autorità italiane. Un documento dell’intelligence ucraina ottenuto da Avvenire conferma l’intenzione di Kiev di non chiedere a Roma solo armi per l’esercito e accoglienza per i profughi. «L’Ucraina conta sull’aiuto delle autorità italiane – si legge –, che hanno una vasta esperienza nella lotta alla mafia, nella lotta alla tratta di esseri umani, all’immigrazione clandestina e allo sfruttamento sessuale».
È una delle questioni più drammatiche. Da una parte, la necessità di rendere visibili i clan russi radicati in Ucraina, i quali potrebbero ambire a entrare nel business della ricostruzione attraverso prestanome insospettabili. Dall’altra, la forte preoccupazione che il fiume di profughi possa subire l’infiltrazione dei trafficanti di esseri umani, alla ricerca delle donne rimaste prive di sostentamento da immettere nel circuito dello sfruttamento sessuale in Europa. Nel documento, i cui contenuti fanno parte dei costanti colloqui con Roma, si fa cenno al dramma delle deportazioni in Russia «anche dei bambini», che potrebbero venire avviati a vario genere di sfruttamento nei luoghi più remoti e irraggiungibili della Federazione Russa.
Gli investigatori italiani da lungo tempo monitorano. «La criminalità proveniente dall’Europa dell’Est, con le caratteristiche evidenti delle organizzazioni mafiose – si legge in un rapporto della Direzione investigativa antimafia dello scorso anno –, ha fatto delle attività di riciclaggio attraverso società off shore, con sede nei Paesi Baltici, Malta, Cipro o nella stessa Federazione Russa il suo canale d’affari principale».
E nella guerra di aggressione russa le prove sono alla luce del sole. Con i boss messi a capo di milizie territoriali e promossi al rango di sceriffi. Come Yuriy Barbashov, il comandante di una milizia filorussa del Donbass noto per i suoi precedenti. Non solo quelli politici. Nato a Mykolaiv, nel 2021 era perfino apparso tra i partecipanti ai nuovi negoziati di Minsk come componente della delegazione separatista. Le note di polizia che lo riguardano segnalano a partire dal 2011 la sua familiarità con gli stupefacenti, il cui smercio avrebbe continuato ad alternare all’attività di propagandista e poi di comandante di una “Militsiya” composta da ucraini fedeli a Mosca. Barbashov è riapparso nei mesi scorsi a Snigurivka, una delle cittadine considerate strategiche lungo la rotta da Kherson verso Mykolaiv e Odessa. Ne era diventato il governatore. Quando il 10 novembre la città venne riconquistata dalle forze Ucraine, Barbashov è scappato, non prima di aver fatto minare i nuovi lotti del camposanto che aveva riempito di civili uccisi. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica le mafie gemelle di Ucraina e Russia hanno prosperato divenendo intercambiabili. Ma la guerra ha costretto le “famiglie” a separarsi, distruggendo «il più forte ecosistema criminale in Europa», come lo aveva definito pochi giorni prima del conflitto un rapporto del “Gi-Toc”, l’Iniziativa globale contro la criminalità organizzata.
E ora il “tradimento” dei vecchi soci in affari, che sono passati a sostenere la resistenza contro Putin vengono puniti dagli ex sodali con le rappresaglie ordinate alle truppe di Mosca dai referenti dei boss russi. Personaggi che non mancano di appoggi nella compagnia Wagner e nelle milizie come quella guidata da Barbashov, nonché all’interno dello Stato maggiore del Cremlino.