«Mancano gli ospedali da campo. Sono indispensabili per assistere le zone rurali, più isolate. Là non è possibile portare i feriti in clinica, dobbiamo operare sul posto. Le prime cliniche mobili dovrebbero arrivare la prossima settimana. Le attendiamo con ansia». Fratel Madhu, religioso camilliano della vice-provincia dell’India e infermiere, ha raggiunto Kathmandu martedì, insieme a un confratello e ai primi kit di pronto soccorso della Camillian Task Force India, sostenuto in Italia dalla Fondazione Pro.Sa. Esperto di emergenze umanitarie – è appena rientrato dalla Sierra Leone dove curava i malati di ebola –, il religioso fa base al Centro pastorale del vicariato apostolico, scampato alla furia sismica di sabato. Ieri, c’è stata la prima riunione di coordinamento: 25 volontari di varie realtà cattoliche agiscono sotto la supervisione di Caritas Nepal. «Abbiamo deciso di dividerci in gruppi e andare nei quattro distretti più straziati degli oltre trenta colpiti dal terremoto nella regione del centro- ovest», racconta il camilliano. Fratel Madhu oggi raggiungerà Sindhupalchowk.
Che cosa si aspetta di trovare? Ciò che ho visto finora a Kathmandu mi ha molto impressionato. Case, scuole, palazzi sono stati ridotti in briciole. Nella capitale ci sono, però, tanti volontari, per questo abbiamo deciso di spostarci nel- le comunità più isolate. Se qua è difficile, là è un disastro: non oso immaginare la situazione. Sono villaggi in cui già normalmente manca tutto. Molte comunità non sono state ancora raggiunte. E c’è così tanta gente da curare...
L’ultimo bilancio parla di oltre 10mila feriti... Occorrono medicine e soprattutto ospedali da campo. La maggior parte dei villaggi non ha cliniche... Dobbiamo agire in fretta per ridurre al minimo – o almeno arginare in buona parte – il rischio del sopraggiungere di ulteriori infezioni. Temo soprattutto complicazioni respiratorie per via del forte freddo. Di giorno ci sono dieci gradi e la notte si sfiora lo zero. Piove senza sosta. Tanti fra i sopravvissuti dormono all’aperto, non ha nemmeno un riparo. Per questo ci vogliono tende, cibo e acqua potabile. A correre maggiori pericoli sono soprattutto i più fragili: bambini, anziani, donne incinta. Per loro la difficoltà è doppia. È, inoltre, necessario, aiutare la gente a superare il terrore. Molti sono ancora sotto choc, tanto più che le scosse continuano. Ogni volta che la terra trema, si assiste a vere e proprie esplosioni di panico. In tale contesto, è naturale che aumenti la tensione.
Tanti cercano di scappare: oltre 66mila nella sola giornata di ieri. Ci sono state, inoltre, proteste delle persone esasperate per la lentezza dei soccorsi. Che cosa rende tanto difficile gestire l’emergenza? La carenza di vie d’accesso. Il Nepal ha una geografia particolare, è incastonato fra le montagne più alte del mondo. Già in condizioni normali è difficile raggiungerlo. Ora, le principali strade sono state distrutte dal sisma. L’aeroporto di Tribhuvan è di nuovo agibile ma le piste sono molto piccole. Gli aerei devono fare a turno per atterrare. Il che rallenta le operazioni. Per fortuna, in questo contesto tanto difficile, si vede una straordinaria solidarietà da parte della gente comune.
Mi può fare qualche esempio? Chiunque sta bene, si presenta e ci chiede di poter dare una mano. Chi ha ancora la casa dà ospitalità ai vicini, ma pure agli sconosciuti, rimasti senza.