Mondo

Reportage. I ragazzi del Nova Festival: l'orrore, il futuro negato, il ricordo

Lucia Capuzzi, inviata a Reim (Israele) lunedì 7 ottobre 2024

undefined

La luce irrompe violenta nel deserto del Neghev. In un istante, il giorno annienta l’oscurità. E la notte si interrompe di colpo. Come il brano che il dj Yarin Illovich, in arte “Artifax”, aveva messo pochi minuti prima delle 6.29 di quel sabato di ottobre. I tremila giovani radunati nella grande radura di Reim per il Festival di musica elettronica Nova non hanno potuto ascoltare la conclusione di “The children of the winter 2023”. L’incursione dei miliziani di Hamas ha zittito la canzone. Esattamente un anno dopo, la musica s’è fermata di nuovo. Ma, proprio come allora, non c’è stato silenzio. Un grido acuto, lancinante, prolungato ha frantumato dopo appena diciassette secondi i due minuti previsti per ricordare i 364 ragazzi massacrati e i 44 rapiti. Con le mani sul viso, Julia Schindel ha urlato fino a restare senza fiato e ad accasciarsi fra le sedie di plastica e il palco.

La sua agonia sembra attualizzare la frase pronunciata in questa terra dal profeta Geremia: «Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata perché non sono più». Mark, 23 anni, era partito quattro giorni prima da Chicago, dove i genitori si erano trasferiti, per iniziare un corso di ingegneria civile in Israele. Non ha potuto farlo. «Perché non gli abbiamo detto di restare anche solo una settimana in più? Sarebbe ancora vivo», sussurra Igor, padre di Mark, quando finalmente è riuscito a calmare la moglie, Julia.

La cerimonia è, dunque, andata avanti come da programma. Con il “Kaddish” e il “Yizkor”, le preghiere per i defunti nella religione ebraica, recitate da sette familiari delle vittime in rappresentanza di tutti di fronte a una folla di un migliaio di persone. Sono giunti da ogni parte di Israele, nonostante l’allerta e le restrizioni agli assembramenti per la principale delle molte iniziative che si sono susseguite nella giornata di lunedì. Un evento non ufficiale, organizzato dalle stesse famiglie. Il presidente Isaac Herzog, che ha voluto unirsi, è rimasto defilato, limitandosi a salutare i genitori dei ragazzi.

Spesso gli oratori sono stati costretti ad alzare la voce per sovrastare il tonfo sinistro dei razzi lanciati dal braccio armato di Hamas – le Brigate Ezzedine al-Qassam – contro i «raduni nemici». E dei massicci bombardamenti con cui i jet israeliani hanno martellato Gaza, da nord a sud, per l’intera giornata, aggiungendo macerie a macerie. «È stato necessario per sventare la minaccia di un attacco ben più vasto», ha precisato l’esercito di Tel Aviv. Alcuni ordigni sono caduti nel centro di Israele, ferendo lievemente due donne.

Il rumore delle esplosioni arriva fin troppo nitido a Reim: la Striscia è là, appena dietro gli alberi, a meno di cinque chilometri di distanza. Mishel Koren sussulta ad ogni colpo. «È terribile. È come tornare indietro a quel giorno». La ragazza ce ne ha messi altri 364 per riuscire a tornare alla radura di Reim da cui è riuscita a scappare in auto e a rifugiarsi nell’omonimo kibbutz, appena oltre la recinzione. Là è rimasta nascosta in un “megunit” – i gabbiotti-bunker sparsi per la zona – mentre i terroristi scagliavano granate sotto la porta. A salvarla sono stati i corpi degli altri quaranta barricati con lei che le hanno fatto da scudo. «Vorrei solo silenzio. E, invece, la guerra è ovunque». Mentre lo dice si ode la raffica di una mitragliatrice e Mishel si avvolge d’istinto nella sciarpa azzurra, nonostante il caldo. «Mi chiedo come sarei ora se non fossi mai venuta al Festival Nova», sussurra. Ben, invece, ha disertato l’appuntamento all’ultimo. Era stanco dalla precedente serata di festeggiamenti a Tel Aviv. Quando una collega l’ha chiamato per invitarlo a una cena di compleanno ha colto l’occasione per cambiare programma.

Il migliore amico, Ofek Kimhi, invece, è andato. «Sorridi, la vita è bella», c’è scritto sotto la sua foto, piantata su un’asta di ferro, alla base un’aiuola di sassolini bianchi e papaveri di ceramica. “Kalanit”, in ebraico: il fiore del Neghev, emblema di rinascita. Famiglie e amici hanno fatto un memoriale simile per ciascuna vittima. A differenziarli sono i dettagli. Su alcune c’è una sciarpa della squadra di calcio preferita, su altre un frammento di bandiera o un pupazzetto. Su quella di Noa Farage, 22 anni, spicca una tavola da surf gialla. Lunedì mattina, intorno alla sua foto, c’era l’intera famiglia: i genitori, Vicky e David, i fratelli Tom e Sean.

«Siamo venuti prima dell’alba per controllare che tutto fosse in ordine. È una parte di lei… ». Poi abbassa gli occhi: «Aveva già preso il biglietto aereo per la Thailandia. Sarebbe stata via sei mesi. Che senso ha quanto siamo vivendo?». Lo stesso interrogativo tormenta Tami e Patrick Shapiro, seduti di fronte alla foto del figlio Ziv: «Siamo arrabbiati. Molto arrabbiati. Con tutti ma soprattutto con il governo. Che cosa ha fatto per impedire tutto questo?».

Appena conclusa la cerimonia, una notizia ha acuito ulteriormente il dolore della “tribù del Nova”, come si autodefinivano i frequentatori del Festival: la morte di Idan Shtivi, 28 anni, scomparso a Reim. Il giovane, secondo quanto riferito dalle autorità, è stato ucciso durante la strage, il suo corpo è stato, poi, portato nell’enclave dai miliziani, dove si trova tuttora insieme ad altri trentaquattro cadaveri e 64 ostaggi ancora in vita. L’accordo per un cessate il fuoco temporaneo che ne consenta il rilascio, più volte dato per certo, langue, mentre i riflettori politici sono puntati sul fronte nord e l’Iran. Mentre il conflitto si evolve, rischiando di allargarsi, Gaza e Israele continuano a vivere il loro infinito 7 ottobre. «Bring back home», «riportate i rapiti a casa», è scritto ovunque lungo la strada 232 che collega il sud con Tel Aviv.

Sull’asfalto non c’è più il caos di auto bruciate, vetri sparsi, sangue e corpi dei terroristi abbandonati, come un anno fa. Il sottofondo metallico delle detonazioni, però, è ancora là, opprimente compagnia per i viaggiatori. Per quanto ci si sforzi di non vederla, la guerra di Gaza con le sue ormai 42mila vittime, in gran parte civili, continua. E con essa il 7 ottobre.