La base Usa. Il dilemma Guantanamo per «Joe»: ancora 40 nel buco nero degli abusi
Un'immagine di archivio del 18 gennaio 2002 mostra alcuni detenuti nel "Campo X-Ray" del carcere di Guantanamo, a Cuba
A riguardarle adesso, quelle immagini sfocate dei detenuti in tuta arancione inginocchiati dietro il filo spinato, sembrano provenire da un’epoca ben più lontana.
Ci parlano dei primi vagiti di un millennio nato nel segno della lotta al terrorismo e di un momento in cui, all’America post-11 settembre, (quasi) tutti avrebbero concesso tutto. Guantanamo compresa.
Sono pochi o sono troppi 20 anni per chi definisce la prigione Usa in terra cubana il buco nero dei diritti umani? Pochi, per l’ex comandante della base, l’ammiraglio John Ring, che prima di essere silurato nell’aprile 2019 da Donald Trump annunciò che Guantanamo resterà aperta almeno fino al 2043.
Troppi, per chi ritiene che lo “strumento” Guantanamo sia ormai inutile e superato, oltre che simbolo di ingiustizia. Nel 2008 il giovane senatore dell’Illinois Barack Obama prometteva nella campagna elettorale che lo avrebbe portato fino alla Casa Bianca che uno degli emblemi dell’America di Bush era destinato, con lui, a chiudere. Un promessa clamorosamente mancata, nonostante il netto calo del numero di prigionieri detenuti nella base.
E che ora, nel ventesimo anno di operatività della prigione, fa interrogare gli analisti su quelle che saranno le decisioni del presidente eletto Joe Biden, all’epoca vice di Obama, che appare ancora dubbioso sulla questione.
E questo mentre un nuovo rapporto di Amnesty International sottolinea che violazioni dei diritti umani, tortura comprese, sono ancora diffuse nel centro di detenzione. Sono quaranta i detenuti a Guantanamo, un dato certo contenuto rispetto al picco dei 700 prigionieri da oltre 50 Paesi del 2003, ma comunque significativo. Secondo le autorità Usa possono essere trattenuti per tutta la durata della guerra al terrorismo, una prospettiva senza fine.
Trump ha posto fine alla pratica dell’Amministrazione Obama di riesaminare uno per uno i casi, pratica che aveva portato a trasferire o rimpatriare 197 detenuti. Con Trump soltanto un prigioniero è stato rilasciato in quattro anni e restano 26, sui 40 totali ancora in carcere, quelli che si trovano a Guantanamo senza accuse e senza processo.
E c’è chi, come il saudita Toffiq al-Bihani, imprigionato dal 2003, resta in carcere nonostante da anni sia stato accordato il suo trasferimento.
Scrive Amnesty che sono «molte le violazioni dei diritti umani ai danni dei detenuti, vittime di tortura, senza cure mediche adeguate e in assenza di un processo equo. Chiediamo un urgente impegno in favore della verità».
Secondo Daphne Eviatar, direttrice del programma Sicurezza e diritti umani di Amnesty International Usa, «le persone ancora detenute a Guantanamo sono inesorabilmente intrappolate a causa di multiple condotte illegali dei governi Usa: trasferimenti segreti, interrogatori in regime d’isolamento, alimentazione forzata durante gli scioperi della fame, torture, sparizioni forzate e il totale diniego del diritto a un giusto processo».
Una delle risposte più emblematiche agli attacchi dell’11 settembre rischia dunque di restare una risposta a metà, segnata dalla violenza più che dalla giustizia. Sarà Biden la «finestra di opportunità» che in molti attendevano? Per il portavoce della transizione, Ned Price, Biden è a favore della chiusura ma i dettagli su come intende muoversi non sono chiari.
C’è chi ritiene che l’errore di Obama sia stato quello di dare troppa enfasi alle sue intenzioni, facendo diventare la chiusura di Guantanamo una questione divisiva. Il suo successore dovrà muoversi con molta più cautela.