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Libano. La fuga delle famiglie dalle bombe: nel convento di Tiro diventato rifugio

Nello Scavo, inviato a Gerusalemme martedì 24 settembre 2024

L'improvvisato accampamento di profughi nel convento di Tiro

Sono arrivati gettandosi dietro al cancello del convento mentre padre Toufic Bou Merhi, il francescano libanese parroco a Tiro, correva a spalancare l’entrata. «Le prime 25 famiglie sono giunte all’improvviso, ma ci aspettavamo che prima o poi sarebbe accaduto», racconta “abouna Toufic”, come lo chiamano tutti. Gli sfollati dai villaggi bombardati dalle forze israeliane sapevano che la parrocchia non avrebbe chiuso le porte. E da ieri c’è gente che dorme in terra, su giacigli improvvisati, alcuni nel cortile sotto al pergolato, perché all’interno non c’è spazio per tutti. E per fortuna che non è ancora arrivato il freddo. Ad ogni ora che passa altri arrivano.

Padre Toufic, prima della nuova ondata di attacchi, mentre consegnava cibo ai villagi cristiani - undefined

L’acqua è quasi finita, il carburante introvabile, «per il cibo riusciamo a cavarcela per adesso», assicura padre Toufic, che aveva tenuto da parte cassette di melanzane, verdure, frutta. Era per la gente di Deir Mimass, il villaggio interamente cristiano sulle montagne che si affacciano sul fiume Litani, quello dietro al quale Israele vorrebbe si ritirassero le prime linee di Hezbollah. «Sono dovuto diventare fruttivendolo», dice cercando un po’ d’ironia in mezzo alla disperazione. A Deir Mimass erano rimasti in pochi, chi ha potuto se ne era andato via da un pezzo.

Un tempo in Libano facevano a gara per comprare le olive e l’olio prodotto dalle famiglie dei cristiani. Ora non più. Da quando Israele usa le armi al fosforo bianco, le coltivazioni sono avvelenate. «Abbiamo dovuto impegnarci con la comunità locale per fare analizzare le olive e l’olio dagli specialisti, così da certificare le produzioni non contaminate e poter vendere almeno quelle. Ma la gente ha paura ad acquistare i prodotti di Deir Mimass, e l’economia è in rovina», racconta il parroco, che regolarmente percorreva i 70 chilometri da Tiro al villaggio sul confine per dire messa e consegnare frutta e verdura alla gente del posto.

La parrocchia di Sant'Antonio di Padova è nella zona più a rischio, lungo la costa da Sidone fino alla città meridionale di Naqura per 60 chilometri. È lì che ha sede il posto di comando del Settore Sud di Unifil, la missione internazionale delle Nazioni Unite. L’area parrocchiale si estende poi per altri 75 chilometri dal mare all’entroterra, lungo tutta la frontiera sulle montagne che si affacciano sul fiume Litani. Un’area che confina con Israele a sud e sud-ovest, lungo l’intera linea del fuoco tra Hezbollah e e le forze armate di Tel Aviv.

Mentre ci parla al telefono, padre Toufic racconta dei bombardamenti incessanti, mentre famiglie dalla periferia di Tiro, dove è appena stata sentita un’esplosione poi localizzata di fianco a un vecchio campo profughi palestinese, scappano a migliaia. Quello che il francescano vede è perfino peggio della guerra del 2006.

«Tutte le strade verso Beirut sono bloccate. Ci sono auto abbandonate ai lati dell’asfalto perché è finito il carburante e chi può continua a scappare a piedi per chilometri e chilometri verso Nord. L’autogestione del convento degli sfollati necessita di organizzazione. I kit sanitari non sono sufficienti. Si è deciso che in mancanza di bagni, gli uomini andranno al mare e si arrangeranno come potranno, mentre le toilette e le poche docce verranno usati solo da donne, anziani e bambini. A patto di aprire il rubinetto con il contagocce».

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Il contingente internazionale di Unifil potrebbe tentare alcune consegne umanitarie urgenti, ma al momento i soldati della forza internazionale non sono visti di buon occhio dalla popolazione, che sperava nei “caschi blu” perché non si ripetessero attacchi contro le zone abitate. «Non voglio parlare di politica - avverte il francescano -, ma sembra si voglia trascinare il Libano in una guerra». Intanto c’è chi dorme ancora sotto agli alberi che affacciano sulle spiagge, e chi telefona chiedendo che si invii un'autocisterna con dell’acqua, anche pagandola a peso d’oro. Ma anche quella è una missione impossibile. Come impossibile è raggiungere i cristiani di Deir Mimass.

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«Padre io non me ne vado», disse qualche tempo fa un’anziana del villaggio dove ci sono solo campanili e neanche una moschea. Abouna Toufic portava verdure anche a lei, che ogni mattina andava in chiesa ad accendere una candela. «Questa candela non può spegnersi, deve rimanere accesa perché la Madonna farà arrivare la pace come nel 2006», gli disse l’anziana ricordando il conflitto di 34 giorni tra Israele e Hezbollah, terminato dopo 34 giorni il 14 agosto, alla vigilia dell’Assunzione.

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Abouna Toufic ci saluta frettolosamente. Altra gente bussa al convento diventato rifugio dei musulmani che implorano d’essere accolti. «Abbiamo avuto il tempo della prudenza - sospira il parroco - ma davanti a questa gente spaventata penso che abbiamo bisogno in queste ore del tempo della Provvidenza».