«Un totale fallimento». La definizione usata in un rapporto ufficioso delle Nazioni Unite è un giudizio severissimo sul risultato delle operazioni dei caschi blu nell’est della Repubblica democratica del Congo. Anzi, la mastodontica missione Onu in Congo, conosciuta con l’acronimo di Monuc, che vanta un personale proveniente da più di cinquanta Stati e che ha una capacità superiore a 18mila soldati, è riuscita a peggiorare le condizioni degli stessi civili che avrebbe dovuto proteggere. Armi, soldi, tecnologia, e un’assoluta mancanza di strategie chiare e effettive, hanno fatto sì che l’est del Congo, in particolare le province di nord e sud Kivu, sprofondasse in una crisi impressionante e dalle mille sfaccettature. Le ricche risorse minerarie vengono continuamente, e impunemente, saccheggiate dai vari gruppi di ribelli che controllano il territorio. Le agenzie umanitarie, attanagliate dalla logorante frustrazione di vedere i propri sforzi minacciati dalla vera istituzione che dovrebbe sostenerli, hanno parlato di un altissimo livello di stupri come arma principale per spaventare la popolazione. Il documento, redatto da una rete di analisti delle Nazioni Unite e che sarà discusso prossimamente dal Consiglio di sicurezza di New York, è stato rintracciato da alcune agenzie di stampa e dalla Bbc. È una durissima critica alle forze Onu per aver appoggiato le corrotte truppe del governo congolese, colpevoli di non essere riuscite a bloccare le vie di rifornimento utilizzate dai ribelli. Il rapporto sembra dare ragione a tutte quelle organizzazioni non governative che accusavano il governo congolese di violare sistematicamente il rispetto per i diritti umani, mentre portavano avanti in modo indiscriminato la loro offensiva contro i ribelli, a predominanza di etnia hutu, delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr): due leader del movimento ruandese recentemente sono stati arrestati in Germania su mandato internazionale. A questi ultimi gruppi si aggiungono i Mai Mai e quelli del Consiglio nazionale per la difesa del popolo (Cndp), il cui ex leader, il generale Laurent Nkunda, è stato arrestato dai soldati governativi ruandesi. Nel rapporto accuse non specificate sarebbero mosse anche a due sacerdoti italiani che operano da anni nella regione e a un ruandese naturalizzato italiano. Le Nazioni Unite, pur essendo a conoscenza dei delitti commessi, hanno continuato a sostenere apertamente le forze governative, sperando di riuscire a sconfiggere, o almeno intimidire, quelli che sembrano comporre i quasi ottomila combattenti delle Fdlr. «Le operazioni militari non hanno havuto successo nel neutralizzare le Fdlr, anzi, hanno intensificato la crisi umanitaria», è uno dei passaggi fondamentali della relazione. «Sbalorditivo», ha commentato Jason Stears, uno dei massimi analisti coinvolti nella tragedia congolese, riguardo alle conclusioni del documento. «C’è una totale mancanza di trasparenza» continua Stears e «ciò permette ai molti attori di continuare a comprare latta e oro ricavati dalle aree controllate dai ribelli, e per questo finanziandone i vari gruppi. Nel commercio sono implicati trafficanti d’oro in Congo, Burundi e Ruanda. E con loro sono coinvolti molti ufficiali ai più alti livelli». Anche due Ong spagnole, Inshuti e Amici del popolo del Ruanda, sono citate per aver aiutato le Fdlr. Lo studio appura che i ribelli, alcuni di questi colpevoli di aver partecipato al genocidio ruandese nel ’94, riescono a sfruttare un’estesa ragnatela di relazioni internazionali per rifornirsi di armi e reclutare sempre più soldati, spesso minorenni. Inoltre è spiegato come i ribelli ruandesi siano sostenuti da membri di alto rango tra le file delle autorità militari congolesi, le stesse persone che dovrebbero combatterli. «Lontano dal risolvere le vere radici che causano le violenze, la presenza della più grande missione di pace al mondo ha aggravato il conflitto», conclude il rapporto.