Mondo

INTERVISTA. Il commissario Malmström: «Piano d'azione dei 27 per fermare i jihadisti Ue»

Vincenzo R. Spagnolo sabato 22 giugno 2013
La questione dei cittadini europei che vanno in Siria per unirsi a gruppi armati è di altissima importanza: la guerra civile ha attratto numerosi elementi radicali dal 2012. Il problema preoccupa diversi Stati Ue e la morte recente di un giovane italiano conferma come le reti di reclutamento si stiano espandendo anche nel vostro Paese». La morte del giovane genovese Giuliano Ibrahim Delnevo è l’ennesimo campanello d’allarme. La preoccupazione, ai vertici della Ue, esiste e il commissario europeo agli Affari Interni, la svedese Cecilia Malmström, lo conferma. Presto, annuncia ad Avvenire, un «piano d’azione» porterà alle prime «misure concrete». Già nei mesi scorsi, il coordinatore Ue anti terrorismo, Gilles de Kerchove, aveva confermato come oltre 500 europei (forse alcune decine di italiani) fossero andati in Siria per combattere: diversi, al ritorno, erano stati arrestati in Belgio, Regno Unito, Francia e Olanda. I “pendolari” del jihad, insomma, sono una minaccia reale. Secondo l’Europol, c’è il rischio di una futura ondata di terrorismo. Cosa si può fare per ridurlo?Intanto, bisogna raccogliere informazioni per capire chi siano questi europei, se sono coinvolti in reti organizzate, quali siano i loro percorsi di viaggio e preoccuparci anche della questione del loro ritorno: spesso tornano dopo aver appreso l’uso di armi ed esplosivi, con esperienza diretta di combattimenti e talvolta con solidi legami con network terroristici.  Come intende agire la Commissione Ue?Fermo restando che la competenza in materia appartiene ai singoli Stati nazionali, a livello europeo la Commissione può offrire un valore aggiunto sul piano della cooperazione e continuerà a supportare azioni dirette a prevenire e scoraggiare le partenze di “combattenti” europei verso la Siria. Inoltre, insieme ai ministri dell’Interno dei 27 Stati membri, abbiamo concordato un “action plan”.Di cosa si tratta, commissario Malmström?É un piano d’azione di misure concrete per contrastare il rischio dei “foreign fighters”, che includerà un dettagliato scambio di informazioni fra Paesi e il diretto interessamento di Europol e dell’agenzia di vigilanza dei confini Frontex per ricostruire i percorsi di viaggio dei sospettati, individuare i centri di reclutamento e identificare coloro che sono all’inizio del percorso di radicalizzazione. Inoltre si sta lavorando a un progetto di analisi delle connessioni tra attività terroristiche e “combattenti”, per affinare la già valida collaborazione fra agenzie d’intelligence e forze dell’ordine dei Paesi Ue. Servirebbero maggiori poteri ad Europol? E più investimenti per vigilare sulla sicurezza dei confini europei?L’attività di reti criminali e terroristiche è più complessa e transnazionale che in passato. E le operazioni a cavallo di più confini e l’uso tempestivo delle informazioni sono cruciali per rispondere a queste minacce. Perciò a marzo abbiamo proposto una riforma dell’Europol, per provvedere maggiore supporto alle forze dell’ordine nazionali in indagini transfrontaliere. Lo scopo è che Europol possa divenire uno centro di coordinamento europeo per lo scambio di analisi sui crimini gravi, creando un legame stabile per la condivisione di dati con le agenzie dei Paesi Ue.Secondo Europol, nel 2012 ci sono stati nella Ue 219 attacchi terroristici, il 26% in più dell’anno prima. E cresce il pericolo di “attentatori solitari”. Qual è la sua valutazione?Sono dati preoccupanti. E molte analisi collocano, fra le minacce, i “lupi solitari”. L’abbiamo visto a Tolosa, col caso Merah, ma anche in Norvegia, con Breivik. Purtroppo, il “lone wolf terrorism” (terrorismo del lupo solitario, ndr) è un pericolo difficile da individuare. Si può agire a livello locale, lavorando vicino a gruppi di persone a rischio di radicalizzazione, così da cogliere eventuali sviluppi negativi e attuare misure preventive. Anche per questo nel 2011 abbiamo lanciato il Ran (Radicalisation Awareness Network), una rete europea fra psicologi, leader religiosi, vittime del terrorismo, investigatori ed esponenti della società civile, che condividono le proprie esperienze e segnalano alla Commissione quali misure possano essere necessarie.