Aleppo continua ad essere il fronte più caldo del conflitto siriano. La città-martire, che da anni paga il prezzo più alto dello scontro tra ribelli (che controllano soprattutto i quartieri orientali) e le forze governative (che occupano la parte occidentale), ha avuto solo qualche settimana di sollievo dopo il cessate il fuoco entrato in vigore il 27 febbraio. Solo il tempo, per chi è rimasto (quasi due milioni di persone, mentre 500mila sono stati costretti ad andarsene), di fare scorte di acqua e cibo. Poi i combattimenti sono ripresi. E le «violazioni» della tregua sono ormai la regola. L’altro ieri l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ong che è basata a Londra, ma conta su una vasta rete di informatori in Siria) ha fatto sapere che in un solo giorno sono state uccise almeno trenta persone, tra questi molti bambini che stavano tornando da scuola. Una ventina di persone sono morte sotto i colpi di mortaio e i razzi lanciati da formazioni di insorti su quartieri della città controllati dalle forze lealiste. Altre dieci sono state uccise da raid aerei governativi. I feriti sarebbero 120. Sempre secondo l’Osservatorio, il Daesh, costretto ad arretrare dall’offensiva lanciata dalle truppe di Assad con l’appoggio dell’aviazione russa, starebbe riprendendo alcuni villaggi nella zona di Aleppo. Nel mirino ci sarebbe anche la città di Azaz, a 40 chilometri da Aleppo, che ospita decine di migliaia di profughi interni. (