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Iraq . Il califfo al-Baghdadi nel mirino della Cia

Luca Geronico sabato 13 settembre 2014
Se giovedì, subito dopo l’annuncio di Obama di una coalizione internazionale contro l’Is, dalla base di Erbil sono partiti i primi caccia bombardieri Usa, ieri la Cia ha aggiornato le stime sulle milizie dello Stato islamico. In Iraq e in Siria l’Is conta «tra i 20mila e i 31.500» miliziani, prevenienti da 80 Paesi: fra loro 2mila europei. Praticamente il doppio da maggio, quando si contavano circa 10mila jihadisti del Califfato. Un aumento dovuto a un forte reclutamento a partire da giugno e favorito dai «successi sul campo di battaglia» e dall’«annuncio della creazione di un califfato».  Washington sembra mettere a fuoco gli obiettivi della coalizione che, ha affermato John Kerry, ha raggiunto 40 adesioni ed emergono i primi dettagli strategici «per eliminare – come promesso da Obama – la minaccia dell’Isis ovunque si trovi». Secondo indiscrezioni riferite al Washington Post  le forze Usa potranno colpire anche i leader del gruppo, compreso Abu Bakr al-Baghdadi: obiettivi sinora esclusi dai raid aerei avviata ad agosto per proteggere le minoranze religiose e il personale diplomatico e gli interessi degli Usa in Iraq. Invece secondo il New York Times sarà il generale John Allen, comandante durante la guerra in Afghanistan, a guidare la coalizione internazionale. Allen, è stato anche consigliere del segretario di stato John Kerry. Lo speaker della Camera, John Boehner, ha convocato i deputati lunedì per un voto di sostegno al piano di Obama, ma sulla stampa Usa è polemica sull’evidente diverse atteggiamento rispetto a un anno fa, quando sembrava imminente un intervento contro Bashar al-Assad. Sempre il New York Times invitava il Congresso ad assumersi le sue responsabilità, nonostante la vicinanza delle elezioni di midterm: una azione militare, affermava ieri un editoriale, «dovrebbe essere definita chiaramente » geograficamente e temporalmente, in modo da non portare gli Usa in guerra «senza il consenso della gente». Ma il vero protagonista della “willing coalition” era ieri un davvero “volenteroso” François Hollande, che pare candidarsi al ruolo di leader europeo della coalizione. Primo capo di stato a recarsi a Baghdad dopo l’insediamento di Haider al-Abadi, ha portato il «sostegno e la solidarietà» della Francia, oltre a 15 tonnellate di aiuti umanitari.  Giunto in Iraq per «coordinare aiuto, supporti e azioni», Hollande che ha fortemente voluto per lunedì a Parigi una conferenza internazionale sull’Iraq, ha dichiarato di voler, si è detto pronto a «ulteriori aiuti militari». Il presidente francese ha però glissato sui dettagli tecnici dell’impegno transalpino. Nella tappa ad Erbil ha poi espresso sostegno e «ammirazione» per i peshmerga curdi: le forniture di armi alle milizie curde, ha affermato, sono state «decisive per rovesciare i rapporti di forza». E per le migliaia di profughi in fuga dalle violenze ha promesso «un vero ponte umanitario».  La netta presa di posizione di Parigi contrasta con la prudenza di Berlino che con il cancelliere Angela Merkel ha escluso la partecipazione ai raid. La Germania che ha consegnato armi ai curdi vuole mettere al bando la presenza dell’Is in Germania per impedire qualsiasi forma di reclutamento di jihadisti. Già evidenti diverse sfumature fra Europa e Stati Uniti, ma per capire assetti sarà decisiva l’Assemblea generale al Palazzo di Vetro dell’Onu. In primo piano, di certo, la questione dei raid anti Is in Siria e le difficili relazioni del regime di Damasco, spalleggiata da Teheran e Mosca, con Washington. Ma ieri Damasco, dopo le prime dichiarazioni critiche, si è detta «alleato naturale» degli Usa nei raid contro lo Stato islamico.