Mondo

Ucraina. I fedeli fermano per ora lo sfratto del “Vaticano” ortodosso a Kiev

Giacomo Gambassi, inviato a Kiev venerdì 31 marzo 2023

La protesta dei fedeli in preghiera per fermare la cacciata dei monaci dal Monastero delle grotte a Kiev

«Sono ucraino, non sono russo o filorusso». Ha il volto teso Vladimir. Non supera i quarant’anni e da mercoledì fa avanti e indietro con la fortezza religiosa di Pechersk Lavra. Due parole che stanno per “Monastero delle grotte” e che indicano nel centro di Kiev uno dei polmoni storici della spiritualità ortodossa slava. Ieri doveva essere il primo giorno del santuario senza più la Chiesa ortodossa dell’Ucraina che affonda le sue radici nel patriarcato di Mosca. Via i 220 monaci e i 300 studenti di teologia che risiedono nella cittadella dell’anima fondata mille anni fa; via il metropolita Onufrij, che della Chiesa è il capo; via i collaboratori che fanno della Lavra il “Vaticano ucraino” per la maggiore confessione del Paese . Tutti sfrattati dal governo con un appiglio legale ma soprattutto con «la falsa accusa di essere una Chiesa ostile», spiega ad Avvenire uno dei portavoce del metropolita, padre Nicola Danylevych.

L'ingresso del Monastero delle grotte a Kiev presidiato dalla polizia - Ansa

Ma i religiosi ci sono ancora quando all’alba si aprono le porte della “collina verso il cielo” lungo il fiume Dnepr che deve il suo nome alle cavità in cui sono custodite le reliquie dei senti monaci e dove si entra con una candela per una processione sottoterra fra i sepolcri più cari alla fede ucraina. Con loro un popolo fatto di anziani, giovani, disabili, famiglie con bambini portati anche nei passeggini. A migliaia sfilano davanti agli agenti di polizia che presidiano l’unico ingresso. Una protesta silenziosa, in preghiera, con i foglietti in mano delle invocazioni da lasciare accanto alle icone dei santi, magari con le parole di Onufrij che chiede al Signore di «proteggerci» perché «la Lavra è il nostro cuore», dice durante la liturgia del mattino nella chiesa dell’Assunzione che non riesce a contenere i fedeli. «Zelensky è stato ingannato. Gli hanno fatto credere che siamo per la Russia», ripete Vladimir. Al suo fianco Roman, anche lui arrivato per «difendere la mia fede», sospira. «Mi piange il cuore a pensare di non poter celebrare la Pasqua qui. Ma non succederà», si rincuora.

I monaci dal Monastero delle grotte a Kiev si preparano allo sfratto imposto dal governo - Gambassi

L’ultimatum che impone l’allontanamento è scaduto mercoledì. Però nessuno ordina di eseguire lo sfratto con la forza, ricorrendo ai militari. Ma nella notte si è diffusa la voce dell'arrivo oggi di una commissione ministeriale per sigillare tutte le chiese della Lavra. Certo, il giorno prima i monaci - preoccupati per un blitz - hanno messo al sicuro gli arredi sacri più preziosi caricandoli sui camion. «È una guerra nella guerra che può creare gravi danni allo Stato per il quale anche noi combattiamo al fronte», dichiara padre Danylevych, vicepresidente del Dipartimento relazioni estere. «All’inizio dell’invasione il presidente Zelensky ha chiesto anche alle Chiese di unirsi – prosegue –. E lo abbiamo fatto. Poi da novembre tutto è cambiato». Sono iniziate le perquisizioni dei servizi segreti nelle parrocchie e nei monasteri trasformati, a detta degli 007, in «cellule della propaganda russa». C’è stato il via libera a discutere in Parlamento i progetti di legge per vietare le comunità ecclesiali legate a Mosca. È stata stilata una lista di vescovi e sacerdoti “collaborazionisti”. «Qualche errore individuale è stato commesso – ammette il portavoce –. Ma su 17mila chierici, si contano 59 casi ritenuti sospetti e appena tre accertati: meno dell’1%. Nei servizi di sicurezza sono molti di più. E allora lo Stato dovrebbe avere con loro un pugno ancora più duro rispetto a noi».

La liturgia per fermare la cacciata dei monaci dal Monastero delle grotte a Kiev - Chiesa ortodossa dell'Ucraina

A nulla sono valse le decisioni del Sinodo ucraino che a maggio non solo ha condannato l’aggressione “benedetta” dal patriarca russo Kirill, ma ha anche cancellato dai documenti ufficiali ogni forma di collegamento con Mosca, rimosso il nome di Kirill dalle liturgie, sancito la «piena indipendenza canonica» dalla Russia. Modifiche che il governo ha già giudicato solo di facciata bocciando il nuovo Statuto e non riconoscendo il distacco dalla nazione nemica. Poi lo schiaffo della Lavra che è monumento nazionale, quindi di proprietà pubblica. Il ministero della Cultura ha annullato a inizio marzo il contratto di affidamento. La ragione? Le violazioni delle clausole che impediscono interventi strutturali senza l’autorizzazione del dicastero: invece i monaci li hanno compiuti di propria iniziata. «La nostra cacciata è già avvenuta ai tempi dell’Urss – afferma il portavoce –. E poi non può essere il governo a stabilire se ci sono state infrazioni. Serve un tribunale». E infatti l’udienza preliminare è fissata a metà aprile. «Siamo aperti al dialogo. Ma le autorità nazionali non ci ha mai risposto – prosegue padre Danylevych –. E il metropolita con i vescovi del Sinodo è andato nei giorni scorsi anche davanti al palazzo presidenziale per consegnare una lettera al capo dello Stato: tuttavia non è stato ricevuto». A sostegno dei monaci è intervenuto anche il Papa: il 15 marzo, senza mai citare il santuario dello “scontro”, aveva chiesto durante l’udienza generale «alle parti in guerra di rispettare i luoghi religiosi» e aggiunto che «le persone consacrate alla preghiera, a qualsiasi confessione appartengano, sono sostegno del popolo di Dio».

La protesta dei fedeli per fermare la cacciata dei monaci dal Monastero delle grotte a Kiev - Reuters

Sullo sfondo la Chiesa ortodossa “scissionista” di Epifanij che si è staccata da quella di matrice russa nel 2018 ricevendo il riconoscimento del patriarcato ecumenico di Costantinopoli e che piace a Zelensky e al suo entourage. «Non fa bene al Paese una Chiesa di Stato», dice padre Danylevych. Prima che scadesse l’ultimatum, il ministro della Cultura ha consigliato ai religiosi della Lavra di passare dalla parte di Epifanij per rimanere nel monastero conteso. Uno degli archimandriti, Avramiy, lo ha fatto l’altro ieri. E Onufrij lo ha bandito dal sacerdozio per «scisma». Tensioni che preoccupano e che rischiano di avere i connotati della persecuzione. E alle grotte i timori d’ingerenza si toccano con mano. «La Chiesa di Epifanij è politica e sostenuta dai politici. Guai se lo Stato decide della mia coscienza», insiste Roman. Drastica Katerina che prima di entrare a pregare ammonisce: «I monaci devono andarsene? Se ne vada Zelensky che sta minando la democrazia».