Potrebbero essere condannati per omicidio colposo i soldati britannici che durante una manifestazione per i diritti civili aprirono il fuoco a Derry nel gennaio del 1972. A rivelarlo è il quotidiano inglese
The Guardian dopo una fuga di notizie sul rapporto finale in cui si sono distillati ben 12 anni di inchiesta pubblica. Il massacro passato alla storia come «Bloody Sunday» costò la vita a tredici uomini. Lord Saville che ha condotto l’udienza durante questa dozzina d’anni – di fatto la più lunga inchiesta pubblica nella storia legale britannica – terminerà il suo lavoro con un corposo documento che sarà pubblicato martedi prossimo.
The Guardian fa anche emergere che «il report di chiusura metterà sotto una notevole pressione il dipartimento della Giustizia in Nord Irlanda al fine di trascinare in giudizio i militari coinvolti» e alcune delle morti verranno dichiarate «unlawful», ovvero «illegali».Lord Trimble, avvocato ed ex leader dell’Ulster unionist party, tra gli architetti della pace nella provincia per il cui lavoro gli valse il premio Nobel, ha però spiegato sullo stesso giornale che quando Tony Blair accettò di far partire l’inchiesta nel 1998 – proprio a pochi mesi dalla firma sottoscritta negli accordi di pace del Venerdì Santo, che hanno portato nei mesi scorsi alla “devolution” politica e giudiziaria da Londra – fu lui stesso a mettere in guardia il premier sulle incognite giurisdizionali della “Saville Inquire” se questa avesse avuto la forza di ribaltare la precedente inchiesta “salva-esercito” del 1972 chiamata Widgery report: «Basterebbe cadere un solo millimetro più in là dalla Widgery per compromettere i soldati e incriminarli per strage» avrebbe detto infatti David Trimble a Blair facendo così emergere come anche questa inchiesta poteva essere inserita nella più larga e importante partita dei negoziati per la risoluzione del conflitto nordirlandese. Malgrado il diplomatico indirizzo – sostengono in molti – dettato da Londra sull’inchiesta pubblica per tutelare gli uomini del reggimento paracadutisti, e soprattutto a causa di altri e importanti contrappesi politici finiti sul tavolo delle trattative per la pace in Ulster, il muro non ha retto. D’altro canto, il massacro del «Bloody Sunday» era riuscito da solo a catalizzare la rabbia repubblicana e ad elettrificare la protesta nazionalista per i successivi trent’anni. Giunta infatti in uno dei momenti più sensibili nella storia dei cosiddetti “troubles”, la strage offrì ai Provisional Ira – l’esercito repubblicano irlandese –, una fortissima popolarità nelle sei contee. E, proprio nel nome del «Bloody Sunday», l’Ira attaccò l’esercito britannico, gli squadroni paramilitari lealisti e la stessa capitale britannica con una violenza mai vista prima. Tuttavia, molti dei protagonisti di quella guerra, da una parte e dall’altra, hanno avuto l’occasione di raccontare le rispettive versioni dei fatti durante questi dodici anni. All’inizio era stato creato anche uno “scudo” per garantire l’immunità dei militari britannici ascoltati nell’udienza: un meccanismo usato anche per “coprire” l’ufficiale – nome in codice «F» – che da solo avrebbe avrebbe ammazzato 6 dei 13 civili. Con un’eccezione però: se nel corso della “Saville Inquire”, tra testimonianze incrociate e ricostruzioni tecniche, fossero emerse false deposizioni, l’immunità sarebbe saltata e i militari perseguiti.Intanto per martedì prossimo, sono attese più di diecimila persone a Derry che in concomitanza della pubblicazione del report, marceranno sul percorso originale del Bloody Sunday nel 1972.