«Per me è Natale ogni giorno, da quel giorno che Dio è tornato a visitarmi, e non mi ha più abbandonato. Ma se non ci fossero stati prima don Salamon e poi padre Alfredo, Dio per me sarebbe rimasto un puro nome». David Maurice Frank scandisce le parole con solennità mentre riavvolge il film della sua vita, e si commuove ancora davanti a certi fotogrammi.David è un pellerossa, vive con la sua tribù di duemila persone nella riserva Ahousat. Il suo nome originario è “Iawatch”, che nella lingua dei nativi significa “protettore delle genti”. È un anziano del popolo, vive con la moglie e i quattro figli a Vancouver Island, una splendida isola nell’Oceano Pacifico, nord del Canada, con una vista mozzafiato sulle West Coast Mountain, le montagne della British Columbia che si affacciano sul Pacifico. Terra d’incanto per le sue bellezze naturali, terra di frontiera perché lì si sono incontrate tante culture: nel 1860 c’era già una presenza cinese, ma l’incontro più significativo è stato quello tra i popoli di origine europea e i nativi, che hanno conosciuto e in molti casi abbracciato il cristianesimo. «Anch’io sono cresciuto nella tradizione cristiana – racconta Iawatch –. Frequentavo la scuola cattolica, come altri bambini della mia tribù, trascorrevo dieci mesi all’anno lontano dal villaggio per poter ricevere una formazione di qualità. Ma è proprio lì che è accaduto un fatto che mi ha segnato per sempre: ho subito abusi da un sacerdote. Quando è successo non riuscivo neppure a capire come potessero accadere cose come quella, come un uomo di Dio potesse fare cose del genere su un bambino. Ho gridato a Dio: perché hai permesso che accadesse? Perché proprio a me? Me ne sono andato dalla Chiesa cattolica, ho odiato gli uomini di Chiesa, mi sentivo tradito, non credevo che esistesse più la giustizia, ho cercato rifugio e conforto nell’alcol e nelle droghe, fino a diventarne schiavo. Tutto era buio attorno a me e dentro di me. Ho persino cercato di suicidarmi, convinto com’ero che non c’era più motivo per vivere, e che ormai neppure a Dio importava qualcosa di me».E proprio il giorno in cui aveva deciso di farla finita, a cas di Iawatch imprevedibilmente arrivò un missionario cattolico, padre Salomon: «È venuto ad aiutarmi senza che io avessi chiesto aiuto, ha ascoltato la mia storia di abusi e la sofferenza fisica e morale che mi aveva segnato per tanti anni, mi ha aiutato a elaborare quello che mi era capitato. Ha pregato per me e con me, è rimasto al mio fianco mentre cercavo di risalire la china per accettarmi con tutto il mio passato e le mie lacerazioni. Con lui ho cominciato a capire che solo una misericordia più grande della giustizia poteva colmare il mio dolore, e che Dio bussava nuovamente alla porta del mio cuore: mi era venuto a cercare usando un uomo consacrato a Lui, dopo che un altro uomo consacrato a lui era stato motivo di scandalo».Dopo Salamon altri uomini e donne di Dio si sono affacciati alla porta di Iowatch: sacerdoti e religiose che gli hanno fatto capire che la Chiesa è più grande degli errori di quelli che ne fanno parte. Tra questi, padre Alfredo Monacelli, un sacerdote originario di Varese e incardinato nella diocesi di Victoria, che su incarico del vescovo locale cura l’educazione religiosa dei pellerossa nella riserva di Vancouver Island. Insieme, nell’agosto scorso, hanno raccontato il loro incontro e l’amicizia che ne è sbocciata davanti all’affollata platea del Meeting di Rimini. «L’incontro con i pellerossa della riserva Ahousat è per me un’autentica lezione di vita – racconta padre Monacelli –. Mi provoca ad andare al fondo della mia vocazione di prete, a capire che la vita è più grande dei miei progetti e dei miei limiti. E a stupirmi che Dio si possa comunicare a questa gente attraverso il volto di uno come me».Oggi David-Iowatch è il responsabile dell’Ahousat Holistic Center, un ente che si occupa del benessere fisico e spirituale delle persone e aiuta quelle che hanno subito traumi a riprendere uno sguardo positivo sull’esistenza facendo ricorso anche alle pratiche tradizionali che appartengono alla storia del suo popolo. Ad esempio, il “cerchio di guarigione”, una sorta di terapia di riconciliazione che affonda le sue radici nelle tradizioni spirituali di questo popolo. «Una ragazza aveva subito violenza dal fratello – Iawatch lo spiega così –, i due si sono incontrati e con la famiglia hanno formato un cerchio. A quel punto l’uomo ha ammesso la sua colpa e ha chiesto perdono, sollecitando a sua volta un 'cerchio' perché anche lui era stato vittima di violenza da uno zio. Durante la cerimonia lo zio ha seguito le orme del nipote, chiedendo il suo perdono. Momenti come questi fanno capire che la compassione può iniziare una dinamica di guarigione nell’anima, e che il perdono e la pietà fanno rinascere a nuova vita. Così ci si avvicina alla bontà di Dio, se ne fa esperienza, si diventa uomini nuovi, si capisce che chi ama davvero non ha nemici. È dalla misericordia che nasce la vera giustizia, la sola che può risanare le ferite del corpo e dello spirito. La sola che permette a me, vecchio pellerossa, di vivere come se ogni giorno fosse sempre Natale».