Leopoli. Il messaggio di papa Francesco all’Ucraina: Dio non è crudele
La consegna dei doni del Papa ai bambini sfollati di Leopoli che ricevono anche le maglie della Nazionale di calcio
Appoggia il Rosario di papa Francesco, il biglietto con la sua fotografia e quello con gli auguri di Pasqua sopra le bende che escono dai pantaloncini corti e che, appena sopra il ginocchio, fasciano il punto in cui gli è stata amputata la gamba destra. «I medici hanno fatto il possibile per salvarla. Però non ci sono riusciti. Ma fra qualche giorno arriverà la protesi», dice con voce energica Andrij Kropyvnytskyi.
Ha 36 anni e tre giorni dopo l’inizio dell’invasione russa si è arruolato. Soldato al fronte per un anno. Fino a quando, lo scorso 4 febbraio, si è trovato al centro di «uno scontro corpo a corpo con il nemico nella terribile regione di Lugansk», racconta. Adesso il suo presente è quello di ferito di guerra nell’ospedale di San Pantaleone a Leopoli. A lui padre Enzo Fortunato consegna i «doni del Papa», come li definisce il frate minore conventuale. «E anche queste parole del Pontefice: “Dio non è crudele. Dio coccola. È l’uomo che, quando si sente Dio, diventa crudele”».
È Andrij il primo paziente a cui il religioso affida il messaggio che il Papa gli ha chiesto di «far giungere al popolo ucraino» quando lo ha incontrato alla vigilia della partenza della “missione di umanità e pace” voluta dai francescani conventuali, dalla cooperativa Auxilium, dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Federazione italiana giuoco calcio. «Poi ti porto la sua vicinanza e la sua benedizione», continua padre Enzo. E ripeterà letto dopo letto l’invito alla speranza di Francesco che è al tempo stesso monito contro i deliri d’onnipotenza insiti in ogni conflitto, compreso quello fra Russia e Ucraina. Accade davanti ad Anatoli che respira con la cannula dopo essere stato colpito a Bakhmut o salutando Iury, 21 anni, rimasto prigioniero dei russi per nove mesi. E poi fra i piccoli ricoverati nel reparto pediatrico.
Un messaggio che, secondo le intenzioni del Papa, è rivolto anzitutto ai più fragili. Ecco perché padre Fortunato sceglie come primi destinatari chi porta sul corpo e nell’anima i traumi della logica delle armi e poi le famiglie sfollate che le bombe hanno costretto a vivere nella “cittadella prefabbricata” del quartiere Sikhiv. «Periferie esistenziali», spiega il conventuale.
La consegna dei doni del Papa ai feriti di Leopoli: nella foto padre Enzo Fortunato, il soldato mutilato Andrij e Angelo Chiorazzo - G.G.
Si commuove la mamma di Andrij accarezzando l’immaginetta del Papa. «Siamo greco-cattolici», sussurra il figlio che è un ingegnere. «Prima dell’aggressione ho lavorato in un’azienda italiana: realizzavamo piattaforme petrolifere». Poi la decisione di mettersi a servizio dell’esercito. «Pentito? La mia nazione andava e va difesa».
In un anno sono più di 11mila i feriti di guerra passati dall’ospedale di Leopoli. «Mille i bambini», chiarisce la direttrice esecutiva Maryana Svirchuk. Sul polso porta un braccialetto giallo con la scritta “Unbroken”, nome dato al primo centro di riabilitazione postbellica del Paese.
«Lo ha indossato anche il Papa durante un’udienza», tiene a far sapere. E cita la collaborazione con l’ospedale Bambin Gesù di Roma che «ha già curato oltre duemila ragazzi arrivati dall’Ucraina», ricorda il fondatore di Auxilium, Angelo Chiorazzo, mentre consegna il carico di medicinali portati dall’Italia.Le foto del Pontefice entrano anche nel villaggio modulare che accoglie 1.500 rifugiati di cui 300 con meno di quindici anni. Sono fuggiti dai missili che cadono nelle regioni di Kharkiv, Zaporizhzhia o Donetsk, come racconta Anya che ha lasciato «l’inferno» con la figlioletta Vsasselina di tre anni.
A Leopoli il soldato ferito Andrij con i doni inviati dal Papa - G.G.
E dal Papa arrivano anche i libri per ragazzi, insieme alle sue parole che risuonano in mezzo ai container. Sono, invece, targate Figc le centinaia di magliette e di tute della Nazionale che subito i “piccoli profughi” si mettono sopra i giacconi dopo la nevicata della notte. «C’è bisogno di regalare sorrisi e fiducia», ribadisce Chiorazzo.
«Qui vivono i più poveri, coloro che hanno perso tutto per i missili», spiega Eugenia, volontaria di Sant’Egidio, che anima fra i prefabbricati la “Scuola di pace”, una sorta di doposcuola che per certi versi supplice alle insegnanti. «Come si fa a segue le lezioni online se una mamma ha tre figli e un solo cellulare? L’istruzione sta diventando un’emergenza. E la guerra rischia di lasciarsi dietro una generazione senza scuola».