Onu. L'Ucraina fa dimenticare l'Africa (e non solo) che ora cerca altri alleati
Al secondo giorno di dibattito generale all’Onu, sui banchi dell’Assemblea generale c’erano solo una manciata di leader e la galleria della stampa era quasi vuota. Sul podio della sala si stavano alternando i presidenti di Nigeria, Ecuador, Guyana, Angola, Tagikistan e Honduras. Nessuno di loro nel suo intervento ha pronunciato la parola Ucraina.
Eppure, a giudicare dai media occidentali, la guerra nel Paese Est-europeo e le sue possibili soluzioni sono al centro di tutte e discussioni di questi giorni al Palazzo di Vetro. Negli loro interventi i capi di governo dei Paesi «in via di sviluppo», come si diceva un tempo, tornavano invece regolarmente sui 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite: parole come povertà estrema e fame, istruzione secondaria di qualità per tutti i bambini e azioni urgenti per combattere il cambiamento climatico.
Alcuni hanno ricordato che, ai ritmi attuali, entro la data stabilita del 2030 non se ne realizzerà neanche uno. «L’Africa ha bisogno di un impegno fermo agli obiettivi 2030 – ha tuonato il presidente nigeriano Bola Ahmed Tinubu –. Le promesse non mantenute hanno imposto un pesante tributo alla nostra capacità di progredire».
La Nigeria però non si limita a parlare in una sala semivuota. Come molti altri Paesi africani, da almeno un decennio per progredire ha puntato meno sugli impegni dei Paesi ricchi e più da rapporti economici con la Cina, che ha già investito mille miliardi di dollari nella ricostruzione di infrastrutture nelle cosiddette nazioni in via di sviluppo.
Queste, che secondo il Fondo Monetario Internazionale, sono più di 70, sono concentrate nell’emisfero meridionale in tutto il globo – dalla Bolivia all’Indonesia e alla Repubblica democratica del Congo – hanno elevati livelli di debito e di povertà e poca rappresentanza globale: ben 50 non hanno mai avuto un posto fra i seggi in rotazione al Consiglio di sicurezza.
Per la sua sicurezza, la Nigeria si è rivolta alla Russia, che ora fornisce armi e addestramento alle sue forze armate.
È solo uno degli effetti di istituzioni internazionali che, come spiegava martedì il segretario generale dell’Onu António Guterres, sono sorde ai bisogni che non rientrano nei giochi di egemonia geopolitica.
I Paesi del Global South dunque «sono costretti a ingraziarsi gli autocrati», come si legge in un documento interno dell’Unione Europea, che appare consapevole che Russia e Cina stanno riempiendo con efficacia e tempismo il vuoto lasciato dall’assenza di cooperazione internazionale. Oltre a attirare nella loro orbita i Paesi africani e sudamericani — poveri in infrastrutture e Pil ma ricchi in risorse naturali e strategicamente posizionati — con offerte commerciali, energetiche e militari, Russia e Cina stanno estendendo la loro influenza anche attraverso raggruppamenti alternativi a quelli dei Paesi ricchi, come il Brics, recentemente allargato da 5 a 11 membri.
«Ci troviamo in un ambiente geopolitico competitivo: non è solo una battaglia di narrazioni ma anche una battaglia di offerte – continua il documento –. Dobbiamo rafforzare il nostro rapporto con loro». Quel memorandum, che risale allo scorso aprile, sembra però non essere arrivato fino a New York, dove in questi giorni i funzionari europei e americani non sono riusciti a strappare a molti leader di America Latina, Africa e Asia chiare condanne dell’invasione Russia. E dove gli appelli delle nazioni in via di sviluppo sono stati relegati a rumore di sottofondo.