Siria. Migliaia in fuga da Aleppo, voci di golpe. I vescovi: «Noi restiamo»
Un miliziano fa a pezzi un gigantesco ritratto di Assad nel centro di Aleppo
Esultano, la bandana nera sulla fronte, i miliziani di Hayat Tahrir al-Sham «Siamo nel centro di Aleppo, di fronte all’università» gridano concitati nel video che rimbalza sui social. Uno di loro, con un giubbotto antiproiettile con la scritta “press”, si domanda sarcastico: «Dove sono adesso i giornalisti del governo?». E gli altri: «Dov’è adesso il comando dell’esercito?» Le risate quasi coprono l’urlo “Allah-u-akbar”, un vero canto di vittoria: in sole 24 ore tutta Aleppo è in mano ai gruppi jihadisti e ribelli sunniti filo-turchi riorganizzatisi nell’ultimo anno sotto l’insegna dell’Hts, ex filiale di al-Qaeda. Preso il quartiere generale della polizia come il governatorato. Squagliato come neve al sole l’esercito che in un laconico, quanto sibillino comunicato, parla di un «ritiro temporaneo». Decine i morti e feriti nei violenti combattimenti ad Aleppo e Idlib, denuncia sempre l’esercito: il ripiegamento servirebbe per riorganizzarsi in attesa dei rinforzi.
I comandi militari preannunciano una controffensiva imminente contro i «terroristi», ma il riposizionamento è tale da disegnare nuovi equilibri nel fragile puzzle siriano: tutta la regione di Idlib è di fatto sotto il controllo delle forze filo-turche. E a sera, sui media turchi, si diffondono voci di un golpe a Damasco: scontri sarebbero in corso nella capitale dopo l’ammutinamento di parte dell’esercito, mentre non si sa dove sia finito Bashar el-Assad.
Le forze governative e russe si sono ritirate dagli avamposti a nord del confine amministrativo tra la regione di Hama e quella di Idlib. Dopo aver preso, senza colpo ferire, Maarrat an Numan e Khan Shaykun, i jihadisti sostenuti da Ankara si spingono verso sud e sud-ovest. Presa anche Sareqeb, i jihadisti ora puntano su Hama, altra città simbolo dell’opposizione sunnita al regime alauita degli Assad, dove esercito siriano e russi hanno già abbandonato l’aeroporto.
Le forze russe presenti in Siria si sono ritirate anche dalla zona a est del fiume Eufrate, nei dintorni di Deir ez-Zor, a lungo sotto controllo delle milizie filo-iraniane: secondo l'Osservatorio nazionale per i diritti umani sarebbe così sguarnita, nell’Est del Paese, pure la cosiddetta “linea di contatto” tra gli iraniani e le forze curde sostenute dagli Usa.
Intanto Aleppo, dalle 17 di ieri sotto coprifuoco, vive nel caos, nella paura e nell’assoluta incertezza. Le bombe e i razzi dei jet russi contro gli «estremisti» e «terroristi», partiti quando era ancora notte, hanno fatto ripiombare la città nell’incubo della guerra civile. Sono stati i primi raid aerei sulla città dal 2016, per colpire postazioni e autocolonne dei ribelli, ma che hanno causato un numero imprecisato di vittime e non solo fra i miliziani: almeno 16 civili uccisi e 20 feriti sempre secondo l’Osservatorio siriano.
Presa di mira la rotonda di Basel Assad, nel centro della città, divenuta punto di raccolta delle milizie. I raid non hanno impedito ai ribelli di disarcionare il busto di Basel dal cavallo di bronzo, e prendere il possesso di tutte le infrastrutture come della Grande moschea. Anche l’aeroporto, dal pomeriggio, è sotto il controllo delle forze curde, mentre lo scalo militare di Abu Duhhur è in mano ai gruppi jihadisti. Presa d’assalto dai ribelli il consolato iraniano, attacco «terrorista» che Teheran ha definito «inaccettabile».
I miliziani ad Aleppo - Ansa
Intanto ad Aleppo la popolazione si prepara a una seconda notte di angoscia. L’ordine dei jihadisti è di non uscire di casa. Se non sono segnalate violenze dei miliziani sui civili, la sopravvivenza è difficile: «Mia madre è rimasta intrappolata per due ore in un bombardamento dei russi: si era riparata sotto un palazzo. Internet speso si interrompe e avevamo perso ogni contatto. Era uscita di casa per cercare un forno dove comprare almeno un po’ di pane» racconta sotto condizione di anonimato un abitante di Aleppo.
La città è come «sospesa», tutti dentro casa per il coprifuoco imposto dai ribelli, ma «la paura della gente resta» riferisce l'arcivescovo maronita di Aleppo Joseph Tobji. L’avanzata jihadista è arrivata «a sorpresa. Non ci sono state avvisaglie. La vita qui stava riprendendo. La situazione era calma, ora però è tutto chiuso». E soprattutto la popolazione non sa cosa fare perché «non ci dicono niente».
I vescovi di tutte le confessioni cristiane (latini, maroniti, caldei, melchiti) hanno deciso di non muoversi, come anche gli otto francescani presenti in città: «Abbiamo deciso di rimanere tutti con la nostra gente», spiega il vescovo dei latini, monsignor Hanna Jallouf che ha visitato le comunità che stanno bene. Ma l’incubo «è tornare alla situazione del passato, con le violenze, la mancanza di cibo, acqua e dell’essenziale», come si è vissuto per anni ad Aleppo sotto assedio. Decine di migliaia sono in fuga, tra loro anche i funzionari Onu tra cui alcuni italiani attesi all’ambasciata italiana appena riaperta a Damasco. Sono attesi pure alcuni italiani con doppia cittadinanza. Ma la fuga fino a Damasco, con l’autostrada interrotta da tre giorni e la vecchia strada intasata, richiede fino a 14 ore di viaggio.
La Siria sul precipizio e con tanti interrogativi su cosa prepari questa caduta di Aleppo che a molti richiama quella di Mosul nel 2014 e la nascita del Califfato. Domande intercorse anche nelle telefonate tra i ministri degli Esteri di Turchia, Russia e Iran nel tentativo di resuscitare gli Accordi di Astana. «Eviteremo l’escalation in Siria» avvertono Mosca e Teheran. Ma Aleppo non è più sotto il loro controllo.