Gli Usa: i taleban stanno vincendo. L'Afghanistan precipita nel caos e nell'orrore
Non è più tempo di propaganda in Afghanistan. Anche gli alti vertici militari statunitensi ammettono che la situazione è critica. Il Pentagono ha dovuto fare una parziale retromarcia e riprendere il supporto aereo ravvicinato alle truppe di Kabul nell’area di Kandahar. Il capo di stato maggiore generale Usa, Mark Milley, è molto franco: «La dinamica strategica è favorevole agli insorti, ma l’esito finale della battaglia è ancora incerto ». E ben poco sembra essere valsa a rassicurare il presidente Ashraf Ghani la telefonata ricevuta ieri da Joe Biden. Molto più pessimistiche sono infatti le valutazioni anche dell’intelligence militare del Pentagono: «Il governo di Kabul po- trebbe essere rovesciato nel giro di sei mesi».
I taleban cingono ormai d’assedio 16 delle 34 capitali provinciali. Diciotto province su 34 stanno per capitolare. Molte nel nord, un tempo roccaforte dei governativi e dell’Alleanza del nord. E ieri le autorità di Kabul hanno ordinato il coprifuoco nottuno in 31 delle 34 province. Da quando Joe Biden ha annunciato il rompete le righe, gli insorti hanno triplicato il numero di distretti ghermiti. In pochi mesi, i taleban hanno espugnato 13 dei 16 distretti provinciali di Herat, abbandonata dagli italiani. Il governo di Kabul sta tentando il tutto per tutto, presidiando la città con le truppe d’élite. Diffidandone, si è risvegliato pure il signore della guerra locale, Ismail Khan, che ha chiamato a raccolta i suoi miliziani.
La situazione non è migliore a Kandahar, a Kunduz, a Jawzjan, a Laghman e a Takhar, tutte in procinto di capitolare. Nonostante le smentite del ministero della Difesa di Kabul, il 90% dei posti di frontiera con il Tagikistan, l’Uzbekistan, l’Iran e il Turkmenistan sarebbe ormai in mano ai taleban, che hanno riconquistato anche tutti i passaggi strategici con il Baluchistan pachistano. Sembra che l’“Inter service intelligence” e unità speciali dell’esercito pachistano stiano supportando l’offensiva degli insorti. Ne è convinto il primo vice-presidente afghano, Amrullah Saleh, che accusa i «commando di Islamabad di inquadrare interi reparti di prima linea dei taleban». Quando l’aviazione afghana ha tentato di appoggiare la controffensiva dei regolari a terra, intorno al valico di Spin Boldak, l’Aeronautica pachistana ha intimato di non avvicinarsi allo spazio aereo transfrontaliero, pena l’abbattimento dei velivoli. Il Pakistan ha ripreso a manovrare dietro le quinte. Non è un caso che la Russia, preoccupata dell’instabilità alle sue marche di frontiera centroasiatiche, lo stia corteggiando nuovamente. Vi ha stretto di recente un partenariato promettente. Mosca ha una sorta di accordo di Shengen con tutti i Paesi dell’Asia Centrale. Persone e merci si muovono liberamente.
Un Afghanistan instabile la esporrebbe a infiltrazioni terroristiche del Daesh e a un incremento dei traffici di droga, fluenti lungo la rotta centroasiatica. Per la Russia, si sta aprendo un nuovo fronte, dopo la guerra nel Donbass, i tumulti in Bielorussia, l’escalation fra Armenia e Azerbaigian e i torbidi in Kirghizistan. Al Cremlino sospettano che gli Usa guardino con «simpatia » ai problemi frontalieri russi, forieri di dispersione di forze e di guai. I russi sono guardinghi. Hanno mobilitato l’intelligence militare del Gru, per monitorare la situazione, mentre il distretto militare centrale sta allertando intere brigate per manovrare con uzbechi, tagichi e kirghizi, tra fine luglio e inizio settembre. L’ambasciatore Zamir Kabulov, inviato speciale del presidente Putin per l’Afghanistan, sta facendo la spola fra Kabul, l’Asia Centrale, l’ufficio politico dei taleban e i suoi contatti cinesi per delineare un quadro confacente agli interessi di Mosca. La Russia non ha i mezzi per intervenire militarmente. Ma ha due basi ai confini afghani e può far sentire il suo peso. Vuole guadagnarsi una fetta nella spartizione.
Le Terre rare afghane fanno gola non solo a Mosca, ma anche a Pechino, che ha già nel Pakistan un crocevia fondamentale della Via della seta. Nei piani cinesi, un Afghanistan stabilizzato significherebbe nuovi corridoi infrastrutturali e possibilità di far fruttare le concessioni minerarie già strappate a Kabul. Per alcuni, è ormai tempo di affari, anche per la Turchia, che punta a mantenere un corpo di spedizione in Afghanistan, con reparti di force protection all’aeroporto di Kabul, a dispetto delle minacce dei taleban.