Lo scenario. I droni cinesi combatteranno la prossima guerra africana
i droni cinesi stanno soppiantando il «Reaper», drone in dotazione a numerosi eserciti occidentali
E' una guerra non dichiarata. Combattuta spesso a colpi proibiti, tanto dagli occidentali, quanto dai jihadisti. I droni armati vi stanno giocando un ruolo prioritario perché, nella guerra “moderna”, ogni soldato che non muoia sul campo di battaglia è un sospiro di sollievo per i governi e l’opinione pubblica votante. Nessun Paese, in Occidente, può più combattere battaglie sostenendo perdite amiche. È una fragilità che si compensa con la guerra a distanza, fatta di artiglierie, jet e soprattutto droni. Una guerra asettica, ma non meno pericolosa.
L’Africa del jihad è diventata così terra di mercenari e di droni, che risparmiano vite e non compromettono i governi. I francesi lo dimostrano. Invischiati da anni nel pantano saheliano, hanno appena decapitato la leadership di al– Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), sferrando un’operazione aeroterrestre con droni Reaper, cacciabombardieri Mirage, elicotteri e forze speciali. I droni hanno sferrato il colpo di maglio contro Abdelmalek Droukdel, emiro di Aqmi, confermando la centralità di questi sistemi d’arma: almeno 300 sono i modelli di Uav che solcano i cieli d’Africa.
Gli americani hanno preceduto tutti con le operazioni in Somalia. L’aerodromo di Chabelley, a Gibuti, ha visto decine di decolli e atterraggi dei Reaper, per missioni contro i leader jihadisti di al-Shabaab e del Daesh. Ma i veri protagonisti continentali sono i droni cinesi. Pechino vende i suoi ritrovati con successo, senza remore morali sull’uso che ne farà l’acquirente. I suoi modelli sono apprezzati per il costo contenuto e per le tante prove di successo in battaglia. Un Wing Loong cinese costa un terzo circa di un Reaper americano, di cui copia quasi tutto. Solo che gli americani vendono volutamente poco: preferiscono cedere i loro droni solo a Paesi affidabili.
E i cinesi ne stanno approfittando. Hanno fatto breccia in Egitto e in Nigeria, come in Etiopia e nello Zambia. “Seducono” ora il Kenya. Dei venti Paesi al mondo che possiedono droni da combattimento tre, se non addirittura cinque, sono in Africa. Egitto, Algeria e Nigeria sono le nuove potenze degli Ucav. Il Cairo vi ha guerreggiato in Sinai, in Libia e in Yemen, al fianco di sauditi ed emiratini. Anche in Nigeria si è dif-È fusa la mania dei droni militari, che compensano i deficit dell’aviazione da guerra, costando molto meno dei jet quanto a piattaforma, addestramento del personale, manutenzione e ora di volo. Nella lotta contro Boko Haram, i droni sono impiegati in missioni rischiose, in cui la perdita di un pilota sarebbe catastrofica, vuoi politicamente e vuoi umanamente.
Abuja è in pieno fermento. Sta sviluppando un’intera filiera locale, con il Gulma e lo Tsaigumi, concepito con un’azienda portoghese. Non paghi, i nigeriani contano di sviluppare il primo Ucav autoctono africano, l’Ichoku, battendo sul tempo i sudafricani. È l’altra faccia del confronto titanico fra i due giganti continentali. A parte le grandi potenze, sono tanti i Paesi africani che si affidano ai droni, dal Camerun al Sudan, passando per la polizia somala. Ma il vero terreno di utilizzo dei droni è la Libia. Lì i velivoli turchi hanno appena rovesciato le sorti della battaglia per Tripoli. Che cosa ne dobbiamo dedurre? Che i droni armati sono più accessibili e meno aggressivi dei cacciabombardieri. Ma presentano un volto oscuro. Potrebbero indurre alcuni Paesi africani ad avventurarsi in missioni transfrontaliere per spiare e colpire dissidenti. Lo scenario si va ingarbugliando. Molti combattenti irregolari si stanno dotando di droni civili, armabili con bombe. Alcuni sono stati sequestrati a guerriglieri di Boko Haram. In Libia, i miliziani delle due parti si sono “salutati” più volte a colpi di droni kamikaze. © RIPRODUZIONE RISERVATA I droni cinesi stanno soppiantando il «Reaper», drone in dotazione a numerosi eserciti occidentali / Ansa