La denuncia. «Incinta dopo le violenze» la 15enne cristiana Huma, rapita in Pakistan
Un ritratto di Huma, 15 anni
Il dramma di Huma Younus continua. L’adolescente pachistana di fede cristiana, rapita lo scorso ottobre e costretta a sposare il suo sequestratore musulmano dopo la conversione, sarebbe non solo segregata ma anche in attesa di un bambino. «Huma ha chiamato i genitori informandoli che è rimasta incinta dopo la violenza carnale subita. A seguito della richiesta del padre di lasciare l’abitazione del sequestratore per tornare a casa la minorenne ha risposto che non le è permesso di uscire e che la sua vita è diventata ancor più difficile essendo imprigionata dentro le mura di una camera», ha riferito Tabassum Yousaf, avvocata, impegnata nella difesa dei genitori di Huma davanti all’Alta Corte del Sindh.
La ragazza, 14enne al momento del rapimento il 10 ottobre 2019, non si era presentata il 3 febbraio e anche successivamente davanti al tribunale nella sua città, Karachi che – ignorando certificati scolastici e di battesimo che attestavano l’età inferiore a quella legale (18 anni) per le nozze – aveva deliberato la legalità del matrimonio e la non punibilità del sequestratore.
Nonostante le difficoltà supplementari dovute all’epidemia di Covid, gli ostacoli sul piano giudiziario e le minacce ricevute non si è però arrestato l’impegno dei familiari di Huma e dei loro legali per arrivare a una soluzione prima che la giovane, oggi 15enne, compia i 18 anni e che il caso venga archiviato. L’appello davanti al tribunale di Karachi è al momento sospeso in attesa che entro il 13 luglio le autorità competenti forniscano al giudice il certificato di nascita di Huma. L’Alta Corte del Sindh, le cui udienze sono ferme per la pandemia in corso, dovrebbe riprendere i lavori ad agosto e su essa puntano i legali della famiglia, mentre la possibilità di portare il caso davanti alla Corte Suprema potrebbe andare incontro a una forte opposizione da parte degli estremisti.
È stata la stessa avvocata a comunicare gli sviluppi della vicenda ad Aiuto alla Chiesa che Soffre, fondazione di diritto pontificio che ha deciso di seguirla giudicandola esemplare di una problematica che coinvolge tante giovani donne di fede indù e cristiana.
«La vicenda della ragazza cristiana mostra che i passi avanti fatti dal Pakistan restano insufficienti. Per questo la proponiamo oggi come esempio – segnala Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che soffre, Italia –. Credo che il caso confermi che se le autorità giudiziarie e le istituzioni in generale non si affrancheranno dalla pressione dei gruppi estremisti, non sarà possibile per Huma e per altre ragazze sottrarsi a questa situazione. L’influenza radicale prende in ostaggio i giudici e per questo la nostra speranza è che il caso venga accolto dalla Corte Suprema anche se con il rischio di tempi lunghi».