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NEL CUORE DELLA CRISI. Hollande preme: «I raid prima di mercoledì»

Giovanni Maria Del Re sabato 31 agosto 2013
Dopo l’umiliante stop inferto al premier britannico David Cameron all’intervento militare in Siria, imposto giovedì notte dalla Camera dei Comuni, si fa avanti con forza il presidente francese François Hollande – secondo vari media maligni, ansioso di far risalire i pessimi sondaggi. «La Francia – ha dichiarato a <+corsivo>Le Monde<+tondo> – vuole un’azione ferma e proporzionata contro il regime di Damasco». E, avverte rivolto anzitutto a Mosca, «se al Consiglio di sicurezza dell’Onu sarà impedito di agire, si formerà una coalizione che dovrà essere più ampia possibile». 
Secondo il leader francese «gli europei la sosterranno, ma ci sono pochi Paesi che sono in grado di agire e la Francia è tra questi». Anche senza Londra? Certo: «Ogni Paese è sovrano e decide se partecipare o meno a un’operazione, questo vale per la Gran Bretagna e per la Francia». A sentire Hollande l’attacco potrebbe essere effettivamente imminente, anche prima di mercoledì prossimo quando il Parlamento francese si riunirà in sessione straordinaria per discutere la situazione. E in serata ha concordato con Obama la «certezza dell’attacco chimico da parte del regime».
Per Londra l’imbarazzo del voto di giovedì notte – 285 no e 272 sì alla mozione preparata da Cameron per autorizzare l’intervento armato – è davvero grande. «Penso che gli americani e Obama capiranno – ha dichiarato il premier – non ho ancora parlato con il presidente Usa ma lo farò nei prossimi giorni. Non credo che sia una questione per cui chiedere scusa». E il segretario alla Difesa britannico Philip Hammond ha detto che Washington sarà delusa dall’atteggiamento di Londra, aggiungendo però di non credere «che la mancata partecipazione britannica possa bloccare un intervento». 
Quanto ad altri possibili europei, ieri da Berlino sono giunti nuovi secchi no all’adesione tedesca all’intervento armato, lo stesso ha fatto la filoamericana Polonia mentre la Spagna ha fatto sapere di voler ancora riflettere. Quanto all’Italia, ieri il ministro degli Esteri Emma Bonino – criticando oltretutto l’assenza di una consultazione a livello Ue – è stata molto chiara: «Si parla di attacchi mirati – ha detto a <+corsivo>SkyTg24<+tondo> – ma è chiaro che tutti cominciano come attacchi mirati, senza un mandato dell’Onu la Siria ovviamente reagirà, ovviamente non è Belgrado e dobbiamo temere come possano reagire Hezbollah, Russia e Iran. Insomma, da un conflitto drammatico e terribile corriamo il rischio di una deflagrazione addirittura mondiale». Dunque «la tenuta della pressione diplomatica e della politica è l’unica soluzione perseguibile».
Parlando ad Avellino, anche il ministro della Difesa Mario Mauro ha sottolineato che «il voto del Parlamento britannico rafforza le ragioni di chi è centrato e deciso a trovare la soluzione politica del caso». E se ci fosse una risoluzione dell’Onu? «Il governo – ha detto Bonino – assumerà ovviamente le sue iniziative, le sottoporrà di tutta evidenza ad un vaglio parlamentare». Per ora, però siamo lontani: la Russia ieri, per bocca del viceministro degli Esteri Ghennadi Gatilov – ha ribadito il suo njet «a qualsiasi risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu, che possa essere usata per un’azione di forza contro la Siria». E il consigliere diplomatico del Cremlino Iuri Ushakov ha avvertito: un attacco costituirebbe un «serio colpo» all’ordine mondiale.
Ieri comunque si è appreso che dal 7 al 9 settembre a Roma saranno sia il segretario di Stato Usa John Kerry, sia il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che avranno anche un incontro a quattr’occhi. Forse per esaminare la situazione creatasi dall’attacco?