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Libano, il caso. Hezbollah: il premier Hariri deve tornare in patria da Riad

Camille Eid venerdì 10 novembre 2017

Continua la saga del premier libanese Saad Hariri, «costretto a dimettersi» e «trattenuto contro la sua volontà» a Riad, nonostante la schiera di diplomatici autorizzati a incontrarlo. Ieri è stato il turno dell’ambasciatore italiano a Riad, Luca Ferrari, e di quello russo.

Il caso Hariri è stato al centro dei colloqui tra il principe della Corona saudita, Mohammed bin Salman, e il presidente francese Emmanuel Macron che ha visitato a sorpresa l’Arabia Saudita per affrontare «la delicata situazione in Libano e Yemen», entrambi Paesi in cui il coinvolgimento di Riad è stato molto discusso nelle ultime settimane. Ma la dichiarazione del ministro degli Esteri francese Yves Le Drian, secondo il quale il premier sarebbe «libero nei suoi movimenti» ha sorpreso un po’ i libanesi. Più ambigua la posizione statunitense. Ieri il segretario di Stato, Rex Tillerson, ha dichiarato che non c’è alcuna indicazione che Hariri si trovi in Arabia Saudita contro la sua volontà, ma che gli Usa stanno monitorando la situazione.

Ora i libanesi sperano che la visita che il patriarca maronita Béchara Rahi intraprenderà lunedì a Riad possa portare a un epilogo della vicenda. Secondo il portavoce del patriarcato, Rahi ha confermato la sua visita dopo aver ottenuto «una risposta positiva» dalle autorità saudite per poter incontrare Hariri. Il portavoce ha sottolineato che l’azione del patriarcato andrà di pari passo con quella del presidente Michel Aoun, al fine di mantenere l’unità nazionale e risparmiare al Paese ulteriori crisi. Sulla vicenda è tornato di nuovo il leader di Hezbollah che ha affermato ieri che Hariri è «prigioniero» a Riad e che «non può tornare a Beirut».

«La cosa più pericolosa – ha aggiunto Hassan Nasrallah in un messaggio televisivo – è l’incitamento saudita a Israele di colpire il Libano». Con un tweet, il leader druso Walid Jumblatt ha scritto che, dopo una settimana di assenza, «è ora che Hariri faccia rientro».

Intanto, il comandante delle Forze aeree del Comando Centrale americano (Centcom) ha confermato che il missile lanciato sabato sera dai ribelli yemeniti houthi contro l’aeroporto di Riad portava «impronte iraniane». Le indagini tuttora in corso vorrebbero scoprire come il missile sia stato introdotto in Yemen nonostante l’embargo imposto su spazio aereo, sui porti e sui valichi del Paese.