Maria Isabel Salvador (Onu). «Il popolo di Haiti meriterebbe un monumento»
La rappresentante dell'Onu María Isabel Salvador
«Qualcuno dovrebbe erigere un monumento al popolo haitiano. La sua pazienza mi commuove. Hanno dovuto attendere quasi due anni nelle mani feroci delle bande criminali per avere un cenno di aiuto dal mondo. Chiunque altro avrebbe sfasciato tutto. Invece sono ancora disposti a darci fiducia». L’ecuadoriana María Isabel Salvador, rappresentante speciale nell’isola del segretario generale, guida l’ufficio integrato creato dalle Nazioni Unite a Port-au-Prince (Binuh) nel giugno 2019 e situato nel blindatissimo hotel Karibe. Era l’ottobre 2022 quando l’allora premier Ariel Henry ha chiesto un intervento internazionale contro le gang. Ci è voluto un anno perché i membri del Consiglio di sicurezza autorizzassero l’invio di una missione multinazionale a guida kenyana. E altri otto mesi per cominciare il dispiegamento del contingente.
Finora sono arrivati 400 poliziotti da Nairobi. Pochi per la gravità del contesto. Come stanno operando?
Il Consiglio di sicurezza non ha fissato il numero di agenti ma, in base alle disponibilità, si parla di circa 3mila. Oltre al Kenya, oltre nove Paesi sono già pronti all’invio. Certo occorrono finanziamenti per il supporto logistico e tecnico alla missione, ma non è facile nell’attuale contesto internazionale. Nell’attesa, il contingente si è limitato all’analisi strategica e al pattugliamento congiunto con la polizia nazionale. Del resto, il suo compito è appoggiarla per rafforzare la sicurezza. Quando arriveranno gli altri agenti, il lavoro entrerà nel vivo.
Tremila agenti potranno far fronte a quasi duecento gang con migliaia di miliziani?
La missione è di supporto alla polizia haitiana. Non vogliamo né dobbiamo sostituirla ma lavorare insieme perché quest’ultima possa sgominare le bande.
Per evitare altro spargimento di sangue, le gang propongono un dialogo. È questa un’opzione possibile?
Non possiamo riconoscere alle bande criminali lo status di attore politico. Non sono gruppi rivoluzionari, con ideali politici, giusti o sbagliati, ma di gangster che hanno inflitto un dolore indicibile ai civili. Chiediamo a questi ultimi se vogliono che il negoziato con le bande. Pochi, credo, sarebbero d’accordo.
Haiti agonizza una crisi dopo l’altro. Perché il Paese sembra incapace di uscire dal baratro?
È l’interrogativo che mi tormenta. Haiti sta cercando con fatica di trovare la propria strada verso la democrazia e la stabilità. Il processo, certo, si sta protraendo da troppo tempo. Non credo, però, sia giusto parlare di “Stato fallito”. E’ uno Stato in costruzione. Ce la farà? Guardando lo scenario attuale, sono tentata di cadere nello sconforto. Ma l’incredibile resilienza degli haitiani mi dà speranza.