L'isola in ostaggio. Haiti, dall'Onu sì alla (mini) missione: guida il Kenya
L'incubo delle gang strangola Haiti
A 347 giorni dal primo, accorato appello, António Guterres è riuscito a convincere la comunità internazionale. Nel tardo pomeriggio di ieri, la notte in Italia, il Consiglio di sicurezza ha autorizzato una missione di sicurezza di un anno per liberare Haiti dalla ferocia delle oltre duecento gang criminali, che tengono in ostaggio l’isola e i suoi abitanti da oltre cinque anni. Un conflitto “raccapricciante”, per utilizzare l’espressione dell’Onu che ha ucciso, solo tra lo scorso ottobre e giugno, più di tremila persone. A questi si sommano i 238 linciati tra aprile e giugno dalle brigate di autodifesa – le cosiddette “Bwa Kalé” – in quanto sospettati di essere esponenti delle bande. Nel frattempo, gli sfollati in fuga dai quartieri occupati dai gruppi armati sono oltre 200mila nella sola Port-au-Prince. Un fiume umano che cresce giorno dopo giorno, al ritmo di 34 persone all’ora.
La missione dovrebbe cercare quantomeno di arginare il bagno di sangue. Non sarà facile. A guidare il contingente sarà il Kenya, come già anticipato da Avvenire, che ha messo a disposizione 1.100 truppe. Qualche altro centinaio arriverà dalla decina di nazioni che si uniranno allo sforzo, tra cui Giamaica, Barbados, Antigua e Barbuda. Mentre gli Stati Uniti – sponsor dell’iniziativa insieme all’Ecuador - hanno promesso due trance da 100 milioni di dollari ciascuna per le spese logistiche e di intelligence. L’obiettivo è realizzare operazioni mirate insieme alla polizia locale al fine di proteggere le infrastrutture sensibili: porti, aeroporti, vie di comunicazione strategiche, scuole e ospedali.
Certo, i numeri al momento sono esigui rispetto alla tragedia in atto nel Paese. Degli 14mila agenti haitiani in servizio sulla carta, meno di un migliaio – secondo fonti ben informate – è realmente operativo. Le gang, invece, dispongono di almeno 10mila “soldati” ben armati, grazie al traffico incessante dagli Usa.
Un’altra perplessità riguarda gli scarsi risultati dei precedenti interventi delle Nazioni Unite come pure la scelta di affidare la guida al Kenya, i cui peacekeeper sono stati accusati di violazioni dei diritti umani in vari contesti dove hanno operato, dal Libano alla Somalia. Il protagonismo di Nairobi è stata, però, la chiave per ottenere l’assenso di Russia e Cina che hanno con il Paese africano forti rapporti politici e commerciali. Invece di mettere il veto, dunque, dopo settimane di discussioni sfibranti, Mosca e Pechino si sono astenute e la risoluzione è passata con i 13 consensi degli altri esponenti del Consiglio di sicurezza.
Dal punto di visto diplomatico, dunque, la missione per Haiti segna un momento importante. Per una volta, si è ricostituito quel consenso trasversale lacerato dall’invasione dell’Ucraina. Dopo quasi venti mesi di paralisi, a Palazzo di Vetro, Ovest ed Est, Nord e Sud hanno provato ad andare oltre i recinti dei blocchi impermeabili. Curioso che sia Haiti, l’eterna dimenticata, a ricordare al mondo che, pur con tutti i limiti, è ancora possibile.