Mondo

La catastrofe umanitaria. «Ad Haiti non c'è più un luogo sicuro»

Lucia Capuzzi sabato 29 aprile 2023

Poliziotto pattuglia le strade a Port-au-Prince

«E' è terribile». Ripete più volte questo aggettivo Maddalena Boschetti, missionaria consacrata di spiritualità consacrata, originaria di Genova. Da oltre vent’anni nell’isola, ne ha condiviso le catastrofi che l’hanno flagellata, dal maxi-terremoto del 2010 all’uragano Mitchell. Nessuna, però, sembra paragonabile alla tragica «guerra» – così l’ha definita il segretario generale Onu, Antonio Gutérres – che dilania la capitale e il resto di Haiti. Le gang, eredità della dittatura di Duvalier e di quattro decenni di lotta all’interno dell’esigua élite per accaparrarsi quote di potere, sono fuori controllo. Armate fino ai denti grazie al fiorente traffico dagli Stati Uniti, le bande conquistano, ogni giorno, nuovi brandelli di territorio per sottrarlo ai rivali. A farne le spese i civili che vi abitano, massacrati come dimostrazione di forza. «La maggior parte degli ospedali ha smesso di funzionare a causa dell’insicurezza, tantissime scuole hanno sospeso le lezioni perché i malviventi le utilizzano come “terreno di caccia” per i reclutamenti o i rapimenti di minori. La gente abbandona le proprie case per sfuggire alle zone più colpite dagli scontri. Ormai, però, non c’è più un posto sicuro. Le bande sono ovunque, sono arrivate perfino in provincia», prosegue la missionaria. E sottolinea: «In questo momento è più necessario che mai essere qui come Chiesa. Condividere con gli haitiani questo momento. Per dire loco che la morte non ha l’ultima parola, né per una persona né per una nazione».
«Sparano dappertutto, sto chiuso in casa, sul pavimento, ma potrebbero arrivare da un momento all’altro», digita Fidelius sul cellulare, residente di Delmas. Nel caos crescente, altri due giornalisti sono stati assassinati. Il corpo di Ricot Jean, popolare conduttore di Radio Tele Evolution, è stato trovato meno di 24 ore dopo essere stato rapito nel centro di Port-au-Prince. Dumesky Kersaint è stato colpito nel fuoco incrociato a Carrefour. A gennaio, una sorte analoga era toccata ai colleghi John Wesley Amady and Wilguens Louissaint, uccisi dalle gang a Laboule, fino a poco fa zona residenziale della capitale. Questa settimana, la rappresentante speciale Onu Maria Isabel Salvador ha denunciato di fronte al Consiglio di sicurezza l’escalation di «sequestri e crimini violenti, incluso lo stupro impiegato come arma», l’incremento di «ferocia negli scontri tra polizia e malviventi» e la loro espansione allarmante «in aree prima considerate sicure come kenscoff, Pétionville e Canaan». Quello della rappresentante speciale è stato il terzo intervento delle Nazioni Unite sull’isola negli ultimi giorni.
A gran voce, l’Onu ha manifestato ancora una volta l’urgenza di dispiegare una forza internazionale, come richiesto fin da ottobre dal premier Ariel Henry. Finora, però, nessun Paese si è fatto avanti per guidare un’eventuale coalizione: tutti temono l’effetto politico del prevedibile bagno si sangue che una lotta contro le gang implicherebbe. Il ripristino di condizioni minime di sicurezza è imprescindibile per far uscire Haiti dal baratro: 4,9 milioni di persone, il 49 per cento degli abitanti è alla fame. Una cifra destinata a crescere se gli scontri non si fermeranno.