I militari statunitensi hanno iniziato a lanciare con i paracadute dagli aerei gli aiuti in beni di prima necessità per la popolazione colpita dal terremoto di quasi una settimana fa, aggirando così la strozzatura dell'aeroporto di Port-au-Prince. Si tratta di circa 14.000 pasti pronti e di circa 15.000 litri di acqua da bere, che sono stati paracadutati da un aereo cargo C-17 su una zona messa in sicurezza dai militari a nord-est della capitale Port-au-Prince.È il primo lancio di aiuti americani con il paracadute da quando è avvenuto il terremoto e i militari statunitensi stanno prendendo in considerazione, visti i gravi problemi logistici all'aeroporto di Port-au-Prince, di estendere il lancio degli aiuti dagli aerei ad altre aree di Haiti. Un'opzione considerata invece finora troppo rischiosa.
Timori per diffusione malattie. Cibo e medicinali cominciano ora a giungere a pieno ritmo ai sopravvissuti del terribile terremoto di Haiti mentre i medici sono preoccupati per la diffusione delle malattie, il prossimo problema da affrontare per le decine di migliaia di persone ferite e rimaste senza casa una settimana fa. Il personale medico impegnato ad allestire ospedali da campo ha detto di stare già curando un numero di malati decisamente superiore alle proprie forze, avvertendo della pericolosità della minaccia di malattie come tetano e cancrena ma anche morbillo, meningite e altre infezioni. Nessuno per il momento ha cominciato a fare una prima stima dei feriti del sisma di magnitudo 7, che ha raso al suolo la maggior parte della capitale Port-au-Prince lo scorso 12 gennaio. Funzionari di Haiti dicono che il bilancio delle vittime dovrebbe oscillare tra i 100.000 e i 200.000 morti.
Le adozioni. Se si potesse fermare in una sola immagine, la tragedia di Haiti avrebbe il volto di un bambino. Ormai da una settimana, migliaia di piccoli e adolescenti (secondo Save the children, sarebbero oltre 2 milioni quelli coinvolti nel sisma), vagano tra le macerie alla ricerca di un genitore che, purtroppo, spesso non trovano più. Affamati e spaventati, cercano qualcuno che li possa aiutare. In Italia sono tante le famiglie che vorrebbero farlo e i siti delle associazioni che si occupano di affidi e adozioni internazionali sono stati letteralmente presi d’assalto. Gli Usa hanno detto che consentiranno temporaneamente l'ingresso nel proprio territorio ai bimbi haitiani rimasti orfani per permettere loro di ricevere trattamenti sanitari, secondo quanto riferito dal segretario americano per la sicurezza, Janet Napolitano. "Ci siamo impegnati a fare il possibile per aiutare il ricongiungimento delle famiglie di Haiti ", ha spiegato Napolitano in una nota. Ma l’Unicef frena. In tutte le emergenze, spiega il direttore Roberto Salvan, i bambini vanno prima registrati, dotati di un braccialetto, fotografati, ricercati i loro dati identificativi. Se non hanno nessuno che si cura di loro, vanno messi in un luogo protetto e curati se ne hanno necessità.«È assolutamente prematuro parlare di adozioni o affidi internazionali per i bambini di Haiti – spiega Salvan –. Un trasferimento, anche solo di due o tre mesi, potrebbe generare un trauma».Intanto, però, l’emergenza non aspetta e, come ricorda la presidente della Fondazione movimento bambino (Fmb), Maria Rita Parsi, «ogni minuto che si perde, un bambino potrebbe morire di fame, di sete o per le violenze. Serve – aggiunge la psicoterapeuta – una procedura d’urgenza per condurne in salvo il maggior numero possibile». Sulla necessità di «fare presto» concorda anche il presidente dell’Associazione amici dei bambini (Aibi), Marco Griffini. «Ad Haiti – sottolinea – ci sono migliaia di bambini da mettere in sicurezza, che vivono in condizioni di promiscuità con gli adulti assolutamente negative. La prima cosa da fare è, quindi, cercare di capire quanti sono questi piccoli e, ripeto, metterli subito in sicurezza».Griffini ricorda che tante famiglie italiane contattano l’associazione dando la disponibilità ad accogliere in casa questi piccoli. «Nessuno vuole una deportazione di massa verso l’Europa o gli Stati Uniti, ma qualcosa si deve pur fare – ribadisce Griffini –. Continuare a ripetere che non vanno sradicati dal loro Paese senza fare nulla, certamente non li aiuta. In questi casi, su ogni altro diritto deve prevalere quello del bambino ad avere una famiglia, ad essere protetto».Proprio a una struttura di accoglienza sul posto pensa l’associazione Giovanni XXIII che, appena sarà possibile, manderà un gruppo di volontari sull’isola caraibica per attivare un centro per bambini. In Italia l’associazione fondata da don Oreste Benzi accoglie già oltre 500 piccoli in 180 case-famiglia. «Credo che lo strumento migliore sia l’affido internazionale finalizzato al rientro in patria», sostiene il responsabile affidi dell’associazione, Valter Martini. «Bisogna assolutamente evitare di agire sull’onda dell’emotività», concorda Gianluca Antonelli, direttore generale del Vis, il servizio per il volontariato internazionale per lo sviluppo promosso dai salesiani, che sull’isola avevano dodici scuole (sei nella capitale Port au Prince), tutte crollate e una, la Enam, con dentro 300 scolari rimasti sotto le macerie insieme a tre sacerdoti. «Haiti è già un Paese poverissimo – ricorda Antonelli – e non possiamo depauperarlo ulteriormente, privandolo dell’unica ricchezza rimasta che sono, appunto, i giovani, chiamati a costruire la nazione di domani». Contraria all’«esproprio dei bambini» è anche Donata Nova Micucci, presidente dell’Anfaa, l’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie. «Cedere all’emotività sarebbe l’errore più grave – ripete –. Invece, va fatto un censimento di questi bambini e si deve accertare se davvero sono orfani e senza più alcun parente in vita». Intanto, anche dai Comuni italiani arrivano le prime offerte di ospitalità per i piccoli haitiani. Ieri, sia l’amministrazione di Salemi (Trapani) sia quella di Avezzano (L’Aquila) si sono dichiarate pronte ad accogliere venti orfani ciascuna.
Salgono a due le vittime italiane certe nel sisma di Haiti. Dopo Gigliola Martino, 70 anni, nata a Port-au-Prince da genitori italiani e deceduta in ospedale per le ferite riportate nel crollo della sua casa, è stata confermata anche la morte del funzionario dell'Onu Guido Galli. Lo ha annunciato Alain Leroy, responsabile per il peacekeeping dell'Onu. La notizia è stata confermata anche dalla Farnesina. Galli, 45 anni, era un agronomo di Firenze, ed il suo corpo è stato ritrovato tra le macerie dell'Hotel Christopher, crollato nel terremoto e dove la forza di pace Onu ad Haiti, la Minusth, aveva il suo quartier generale. Un altro funzionario italiano, Cecilia Corneo, 39 anni, risulta tuttora dispersa: potrebbe trovarsi anche lei tra le macerie dello stesso albergo. «Siamo distrutti. Non ho la forza di dire altro. Speravamo in un miracolo. Poi, ieri sera, ci hanno detto che avevano trovato il corpo...» ha detto la madre di Galli, raggiunta telefonicamente dall'Ansa. «Ho la casa piena di amici - ha aggiunto - venuti qua a darci conforto in questo momento terribile. Ieri sera, dopo le 22, l'Onu ci ha telefonato per dirci che era stato trovato il corpo, ma che ancora servivano accertamenti per avere la certezza che fosse Guido. Poi è arrivata la conferma». «Aspetto le decisioni sul rimpatrio della salma - ha detto ancora la signora Galli -, credo che spettino all'Onu». galli, spiegano i suoi familiari, era in missione ad Haiti dalla fine del 2007 . «Quel lavoro lo aveva scelto, era contento di impegnarsi per il rispetto dei diritti umani» ha raccontato la madre.